L’ Anoressia Nervosa è un disturbo complesso dall’eziologia ancora sconosciuta, sebbene dati di letteratura scientifica suggeriscano che derivi dall’interazione di molteplici fattori di natura genetica e ambientale. Sebbene nei soggetti affetti da Anoressia Nervosa sia presente il terrore di aumentare di peso e di diventare grassi, non è possibile concettualizzarlo come un semplice disturbo fobico per diverse ragioni. La prima è che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma corporea non sono solo la conseguenza della paura di ingrassare, ma sono associati ad un senso di trionfo, di superiorità, di soddisfazione, di orgoglio; la perdita di peso è spesso vissuta come un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, una virtù, una “fonte di piacere”. Questa condizione, in cui la maggior parte dei pazienti esalta le virtù dello stato patologico adottando attivamente comportamenti di controllo del peso “ego-sintonici” (dieta rigida e estrema, esercizio fisico eccessivo, vomito auto-indotto, uso improprio di diuretici e lassativi) è molto diverso da una semplice fobia del peso.
Il controllo del peso e della forma corporea rappresentano la psicopatologia centrale e specifica dei disturbi alimentari, mentre la fobia del peso rappresenta un’espressione secondaria del disturbo. In accordo alla teoria cognitivo-comportamentale più moderna, il cuore di tutti i disturbi alimentari sarebbe uno schema distintivo di auto-valutazione caratterizzato da un’ipervalutazione del peso e della forma corporea e del loro controllo; in altre parole chi soffre di un disturbo alimentare giudica se stesso e il proprio valore esclusivamente o in modo predominante in termini di peso, forma corporea, questo significa “valgo se e solo se raggiungo questo peso, ho questa forma corporea e se riesco a non mangiare” (Fairburn, Cooper, & Shafran, 2003). Da questa prospettiva è possibile comprendere il senso di comportamenti estremi di controllo del peso apparentemente privi di logica e le espressioni associate (es. il body checking e l’evitamento del corpo, il sentirsi grassi, preoccupazioni per la forma corporea, il cibo e il peso e la marginalizzazione di altre aree di vita), se una persona crede che il controllo del peso e del corpo sia vitale per giudicare il suo valore personale. Inoltre la restrizione dietetica e il basso peso corporeo determinano lo sviluppo di numerosi sintomi di malnutrizione, di natura sia fisica che psicologica e sociale (Calugi, Chignola, El
Ghoch, & Dalle Grave, 2018) che, a loro volta, contribuiscono a mantenere il disturbo alimentare attraverso meccanismi distinti. Ad esempio, il ritardo dello svuotamento gastrico come conseguenza della malnutrizione, produce un precoce senso di pienezza anche dopo l’ingestione di una modesta quantità di cibo; il ritiro sociale tipico di questi pazienti e secondario alla malnutrizione, intensifica l’uso del peso e della forma corporea come mezzi di auto-valutazione; e la preoccupazione per l’alimentazione secondaria alla restrizione dietetica accentua l’adozione di regole dietetiche rigide e estreme (Dalle Grave, Pasqualoni, & Marchesini, 2011). Le abbuffate, riportate da un sottogruppo di pazienti con Anoressia Nervosa (tipo Binge-Purging) derivano dall’ipervalutazione del peso e della forma corporea e sono mantenute dal tentativo di aderire alle rigide regole dietetiche e/o gestire gli eventi esterni e gli stati d’animo negativi associati (Fairburn et al., 2003).
La terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi alimentari (CBT-E) si basa sulla concettualizzazione descritta sopra e si pone come scopo principale quello di aiutare i pazienti a sviluppare uno schema di auto-valutazione più articolato e funzionale. Per raggiungere tale obiettivo, il trattamento usa specifiche strategie e procedure (es. auto-monitoraggio in tempo reale e la costruzione di una formulazione personalizzata del disturbo) che ha lo scopo di educare i pazienti circa i processi che stanno mantenendo il disturbo e aiutarli a smettere di identificare se stessi con il problema. I pazienti vengono incoraggiati a fare dei graduali cambiamenti comportamentali per valutare gli effetti e le implicazioni sul loro modo di pensare. Il trattamento è strutturato in modo da far sentire i pazienti in controllo, ad esempio pianificando in anticipo i pasti e introducendo in modo graduale i cibi evitati e creando un bilancio energetico positivo che determinerà un aumento di peso settimanale controllato e prevedibile. Essendo in grado di predire gli effetti sul peso di quello che mangeranno, i pazienti saranno più in grado di tollerare l’ansia associata con il recupero del peso e l’inserimento dei cibi evitati. Il trattamento prevede la collaborazione di più figure professionali; oltre allo psicoterapeuta specializzato spesso è necessaria la collaborazione con dietisti esperti di riabilitazione nutrizionale di pazienti con disturbo alimentari e, in alcuni casi, può essere utile un supporto farmacologico. Il lavoro di squadra aiuta a raggiungere risultati importanti nell’attaccare un disturbo che è tra i più resistenti al cambiamento.