Dott.ssa Laura Marchi

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

Tag: coronavirus

L’ EMDR nel primo soccorso psicologico al tempo del Covid-19

L’ EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è un approccio terapeutico evidence based raccomandato dall’OMS, per il trattamento del trauma e dello stress traumatico. Si tratta di una metodologia che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destra-sinistra, per trattare i disturbi legati a esperienze traumatiche. Nel 2018, l’Associazione EMDR Italia è stata inserita nell’elenco delle Società Scientifiche delle professioni sanitarie, riconosciute dal Ministero della Salute (ai sensi del dm 2 agosto 2017 – Legge Gelli).

In un momento come questo molte certezze sono venute meno e il senso di vulnerabilità cresce. Le persone hanno paura, tutti siamo potenzialmente contagiabili e tutti potremmo contagiare altre persone, nessuno è immune perchè non esiste un vaccino o una cura specifica contro il coronavirus. Il nostro senso di sicurezza è stato alterato in modo rapido e improvviso, come avviene sempre nei casi di emergenza. La paura di morire cresce. Insieme a questo, la risposta emotiva delle persone può essere caratterizzata dalla rabbia che, per qualcuno, è la risposta migliore, sebbene poco funzionale, in un clima in cui non abbiamo controllo su nulla e sentiamo di aver perso la possibilità di gestire la propria vita in autonomia (non sappiamo quando finirà la quarantena, non possiamo progettare il futuro, ci sentiamo in balia degli eventi) La rabbia verso qualcuno considerato responsabile/capro espiatorio ci illude di recuperare almeno un pò di controllo e una spiegazione a ciò che appare privo di senso.  Un’altro tema che emerge è quello della responsabilità/colpa che per qualcuno è fonte di grande sofferenza, pensiamo a coloro che sono risultate positive al Covid-19 e hanno infettato i propri cari. Tutte queste risposte sono risposte normali di fronte a una situazione anormale, che la nostra mente fa fatica a sopportare da un punto di vista psicologica.

In modo particolare, in questa emergenza sono gli operatori sanitari a vivere in prima linea uno stress che può diventare post traumatico se non vengono presi seri provvedimenti in loro aiuto. Lavorano in un costante stato di allarme legato alla paura e al maggior rischio effettivo di contagiarsi, i turni massacranti a cui sono sottoposti impediscono loro di decomprimere lo stress attraverso pause e riposi tra un turno lavorativo e l’altro, così vitali per la salute psichica oltre che fisica. Per non parlare poi del rischio di traumatizzazione vicaria, la sintomatologia post-traumatica che insorge come conseguenza della relazione di aiuto di persone che soffrono, che vivono il trauma della terapia intensiva e che, in diversi casi, muoiono in solitudine. Agli operatori sanitari spetta la gestione dei familiari che non possono vedere i loro cari malati, a loro spetta la comunicazione della morte o dei cambiamenti nelle condizioni di salute, così repentine. Si sentono impotenti, nonostante i grandi sforzi, le morti sono numerose. Tutto questo li espone a un livello di stress elevato che, se entro certi limiti, è assolutamente funzionale al lavoro, non è questo il momento per loro di smobilitare emozioni dolorosi, questo è il momento dell’azione, devono adoperarsi per gli altri. Ma un punto importante è che per poter lavorare al meglio è necessario dare loro strumenti per decomprimere, ovvero imparare ad abbassare anche se di poco, il livello di attivazione dell’organismo quando supera la finestra di tolleranza, quella zona entro la quale possiamo esseri certi di funzionare al meglio.

Per questo esistono diversi strumenti di facile applicazione, brevi che derivano dalla grande esperienza dell’Associazione EMDR in ambito emergenziale e psico-traumatologico proprio per imparare a riconoscere e abbassare il livello di stress negativo, cioè quello che danneggia la salute.

Stress da quarantena: quando finirà? Cosa ci può aiutare?

La quarantena, misura imposta dal governo per fronteggiare la pandemia del Covid-19, è una misura che, sebbene necessaria per limitare la diffusione del contagio, ha importanti conseguenze psicologiche sulle persone e l’intera comunità, dal momento che comporta una forte limitazione della libertà personale e dei contatti sociali, entrambi bisogni fondamentali dell’essere umano e elementi imprescindibili per il mantenimento del benessere psicologico.  Al momento non sono presenti in letteratura scientifica dati epidemiologici precisi sulla prevalenza dei sintomi psicologici secondari alla quarantena, pertanto questa breve articolo farà riferimento a studi scientifici che hanno indagato le reazioni psicologiche di persone che hanno vissuto emergenze sanitarie e misure di contenimento simili in passato (es. SARS). Secondo tali studi, la maggior parte delle persone messe in quarantena può sviluppare un disagio significativo, che può andare dallo sperimentare sentimenti negativi gestibili di vuoto, tristezza, ansia, paura, frustrazione, noia a veri e propri disturbi diagnosticabili, come ad esempio il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).

Reazioni comuni alla quarantena sono:

➢ Umore deflesso, tristezza, afflizione, colpa
➢ Irritabilità, nervosismo
➢ Insonnia
➢ Rabbia
➢ Paura
➢ Confusione, torpore
➢ Punteggi elevati agli strumenti di valutazione del Disturbo da stress post-traumatico

Gli studi ci dicono anche che gli effetti psicologici secondari alla quarantena possono durare molto tempo dopo il termine dell’isolamento, anche tre anni dopo. Questo significa che è molto importante non trascurare la mente in questo momento emergenziale perchè il rischio è quello di un protrarsi e cristallizzarsi della sintomatologia post-traumatica. Si può andare da un lento ritorno alla normalità al verificarsi di veri e propri disturbi o episodi di malattia psichiatrica. Sono stati riportati in particolare:
➢ Protrarsi di comportamenti di evitamento per paura del contagio (riduzione dei contatti, della frequentazione di luoghi chiusi e/o affollati)
➢ Mantenimento di norme igieniche eccessive (lavarsi troppo spesso le mani)
➢ Abuso o dipendenza alcolica

E’ evidente che, sebbene non siano totalmente chiariti dalla ricerca i fattori che spiegano la differenza tra coloro che a seguito di eventi traumatici sviluppano patologie e chi non le sviluppa, alcune variabili sono ben documentate. Fattori di vulnerabilità possono essere:

➢ Una rete familiare scarsamente supportiva
➢ Un basso livello culturale
➢ Problemi finanziari
➢ Anamnesi psichiatrica positiva

Lavorare in ambito sanitario può essere, pur se non confermato in modo univoco, un elemento di rischio, comportando una maggiore frustrazione professionale fino al born-out e al PTSD e una maggiore preoccupazione di poter contagiare altre persone, oltre che la stigmatizzazione da parte della comunità.

Alcune condizioni oggettive della quarantena possono fare la differenza nel determinare o meno certe reazioni psicologiche negative:
➢ La durata del periodo di isolamento
➢ La preoccupazione di poter infettare altri (p.e. i familiari)
➢ La sensazione di non sentirsi inseriti in una rete sociale (anche attraverso i contatti telematici)
➢ La difficoltà nel procurarsi i beni di prima necessità
➢ La carenza di informazione e di indicazioni comportamentali chiare
➢ La sfiducia nelle istituzioni deputate a garantire la salute pubblica

Per ridurre l’impatto della quarantena alcune attenzioni possono fare la differenza (oltre a cercare di limitarne la durata al minimo necessario):
➢ Dare informazioni accurate, combattere i «fantasmi» catastrofici
➢ Stimolare la consapevolezza della necessità dei provvedimenti, migliore garanzia del loro rispetto, educando alla responsabilità verso gli altri.
➢ Garantire puntualmente i beni di prima necessità
➢ Mantenere viva la comunicazione, attraverso telefono e social network, tra persone e con le istituzioni sanitarie
➢ Evitare la stigmatizzazione degli operatori sanitari e sociali «in prima linea» che devono arretrare per il periodo di quarantena

Diventa molto importante il supporto psicologico, anche tramite telefono, in ottica preventiva sia per le fasce di popolazioni più vulnerabili, compresi gli operatori sanitari, maggiormente esposti al fenomeno di traumatizzazione vicaria, ovvero al trauma secondario all’esposizione alla sofferenza di coloro di cui si prendono cura. Inoltre sono possibili interventi più specifici (defusing e debriefing) che hanno l’obiettivo di lavorare con coloro esposti a eventi traumatici in modo diretto e che hanno l’obiettivo di contenere le reazioni acute da stress e di prevenire eventuali esiti psicopatologici nel lungo termine.

 

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Gli effetti psicologici del coronavirus

Se da circa un mese a questa parte tutti i media danno ripetutamente informazioni alla popolazione di natura medica, comportamentale, sul numero dei contagi, dei decessi e su quello dei guariti, poche sono le informazioni relative alle importanti ripercussioni emotive e psicologiche che ciò che stiamo vivendo in questi giorni può avere e su come fronteggiarle.

E’ inevitabile che una delle conseguenze importanti deriva dalla necessità, più che doverosa, di modificare drasticamente le proprie abitudini di vita, restando a casa, interrompendo per molti la propria attività lavorativa e soprattutto sociale. Tutto questo limita la propria libertà individuale e impone per qualcuno (chi vive da solo che rappresenta una grande parte della popolazione italiana) affrontare la solitudine, l’assenza di contatti intimi, affettivi che sono fondamentali per il nostro benessere psicologico. Per molti anziani, i soggetti più a rischio per le conseguenze del contagio, questo significa non vedere i propri nipoti, rinunciare ai loro rapporti quotidiani (vitali) con figli, amici, parenti. In un momento di stress elevato in cui la presenza dei propri affetti sarebbe una importante fonte di conforto e di rassicurazione per poterlo gestire al meglio, molti (a meno che non conviventi) sono costretti a rinunciarci.

Se gli anziani sono più vulnerabili da un punto di vista medico è anche vero che lo sono anche da un punto di vista psicologico perchè per loro si apre il capitolo solitudine con tutte le conseguenze che questo può portare. In molti casi non sono abituati ad utilizzare i social, che in questo periodo, aiutano molto a sentire la connessione con gli altri, conosciuti e non.  “State a casa”, che è l’imperativo di queste settimane, significa state soli, deprivati di contatti umani e affettivi, oltreché di tutte le attività di svago e fonte di benessere (sport, giochi, spettacoli, feste, cinema, teatri, circoli, club, associazioni e così via).

In altri casi la convivenza forzata può portare a galla in maniera “esplosiva” tensioni e conflitti familiari tenuti sotto controllo da una quotidianità scandita da impegni lavorativi, sport, relazioni che riescono a salvaguardare un equilibrio che, privato degli elementi di ancoraggio mantenuti sino a quel momento, può saltare portando con sè conseguenze molto gravi che possono sfociare in un aumento dei litigi fino alla violenza familiare a di i figli, in casa pure loro, diventano testimoni.

Cosa comporta tutto questo?

Se per alcuni questo periodo è costellato da sentimenti di ansia, solitudine, irritabilità, senso di costrizione, vuoto, tristezza, uniti alle preoccupazioni economiche e per la salute propria e dei propri cari, per altri, con meno risorse emotive e pratiche le conseguenze possono essere quelle di veri e propri disturbi depressivi, ansiosi che potrebbero durare a lungo e non risolversi spontaneamente.

Cosa possiamo fronteggiare questo periodo

Mi sento di dare qualche suggerimento per poter fronteggiare al meglio da un punto di vista psicologico questo periodo difficile che tutti stiamo vivendo e che non sarà breve. Innanzitutto scegliere bene le fonti di informazioni. Nei momenti di emergenza in cui la paura e l’irrazionale inevitabilmente rischiano di prendere il sopravvento, bisogna avere molta cura di sè e non mettersi in condizione di esporsi a informazioni non veritiere, allarmanti e non fondate su datti scientifici e oggettivi. I canali da seguire sono il  sito del Ministero della Salute: www.salute.gov.it e quello dell’Istituto Superiore di Sanità: www.epicentro.iss.it. E’ importante anche non sovraesporsi a queste informazioni, pertanto scegliere un momento massimo due della giornata da dedicare alle notizie sul coronavirus; farlo più spesso implica tenere il proprio sistema nervoso in uno stato di iper-allerta costante creando una condizione di stress cronico. Altra cosa importante non interrompere “per quanto possibile” la propria routine rispettando sempre le indicazioni di sicurezza vigenti: in questo momento di grande incertezza è importante ancorarsi a ciò che è certo e prevedibile. Quando è possibile continuare a lavorare da casa, cercare di riposarsi adeguatamente evitando di esporsi a notizie sul coronavirus la sera prima di andare a dormire e sostituirle con attività piacevoli (leggere, ascoltare musica, vedere un film, scrivere, cucinare per il giorno dopo, fare un bagno caldo, meditare, ecc). Questa può essere un’occasione per sviluppare la propria creatività e sperimentare nuove attività da fare a casa in un momento in cui abbiamo il tempo di farlo. Cercare di mangiare bene e in modo regolare, molta frutta, verdura e cereali che rafforzano il sistema immunitario. Ricordarsi di staccare la spina, usare la tecnologia in modo intelligente, fare video-chiamate, ricontattare persone che non si sentono da un pò, prediligere le telefonate e le videochiamate agli sms perchè ci fanno sentire più in contatto con gli altri, sebbene questa comunicazione non possa sostituire quella vìs a vìs. Parlate con una persona di fiducia, ma ricordate di parlare anche di altro, di tutto quello di cui avreste parlato se adesso non ci fosse il coronavirus. E’ molto importante preservare il proprio benessere psicologico in un momento in cui lo stesso è messo a dura prova.

In sintesi il momento storico che stiamo vivendo ha e avrà molte ripercussioni sulla nostra psiche e sulle dinamiche sociali oltre che economiche. Siamo in un momento di stress acuto, la paura è centrale nella vita di ognuno, per qualcuno è molto vicina, per altri meno, ma è dentro ciascuno di noi. Questo può portare a una sintomatologia da stress acuto provocata da un pericolo reale per la vita proprio e altrui, un pericolo sconosciuto, aggressivo, incontrollabile che è caratterizzata da: pensieri e/o immagini intrusive, ricorrenti, involontarie legate al coronavirus, sogni spiacevoli il cui contenuto e/o le emozioni sono collegate allo stesso, difficoltà ad addormentarsi o risvegli notturni, irritabilità, ipervigilanza, problemi di concentrazione, alterato senso di realtà del proprio ambiente o di se stessi (stato confusionale, rallentamento del tempo, ecc). Questa sintomatologia potrebbe risolversi nell’arco di un mese, il tempo necessario affinchè il cervello elabori i profondi e improvvisi cambiamenti e la perdita totale di controllo, ma in alcuni casi potrebbero perdurare.

Cosa fare?

Occorre monitorare il proprio umore, cogliendone i segnali di un significativo abbassamento: irritabilità, tristezza, sonno ridotto o disturbato, apatia, pensieri catastrofici, solo per fare alcuni esempi. Allo stesso modo è bene prestare attenzione allo stato di salute psicologica dei nostri cari, soprattutto delle persone più a rischio ed aiutarle a ridurre in ogni modo possibile la percezione di isolamento e alienazione.

Ove si ravvisino segnali di franchi disturbi depressivi o ansiosi è bene cercare di intervenire precocemente, cercando l’aiuto di uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale, molti dei quali disponibili anche a sedute online, almeno temporaneamente. Nei casi più importanti o dove la psicoterapia non sia possibile o sostenibile è bene allertare il medico di base, che valuterà se e come avviare la persona a una terapia farmacologica di supporto.

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