Il binge eating, il consumo incontrollato di una grande quantità di cibo in un arco di tempo di due ore, è un sintomo diffuso nei disturbi alimentari, che può avere effetti dannosi sulla salute fisica e mentale delle persone, come un aumentato rischio di obesità e di altri disturbi psichiatrici. E’ un sintomo chiave sia della bulimia nervosa che del disturbo da alimentazione incontrollata, o binge eating disorder in inglese, ma può essere presente anche nell’anoressia nervosa o in altri disturbi della nutrizione o dell’alimentazione, in accordo con il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (APA; DSM-5, 2013). Una migliore comprensione dello sviluppo e del mantenimento delle abbuffate è importante per ridurne gli effetti negativi e, inoltre, questo potrebbe contribuire alla prevenzione e al trattamento dei disturbi alimentari. La ricerca ha evidenziato che diversi fattori cognitivi, affettivi, psicologici e di personalità rappresentano dei fattori di rischio per lo sviluppo di questi disturbi e contribuiscono al loro mantenimento. Un modello che spiega lo sviluppo e il mantenimento delle abbuffate afferma che il perfezionismo porta gli individui a impegnarsi in una dieta rigida ed estrema che, a sua volta, provoca le abbuffate (Sherry & Hall, 2009; Mackinnon et al., 2011). Secondo questo modello la relazione tra perfezionismo e binge eating è mediata dalla dieta restrittiva, ovvero la tendenza a ricercare rigidamente la perfezione e a non tollerare l’errore o “il meno perfetto” è probabile che porti le persone a impegnarsi nella dieta seguendo regole rigide, estreme e numerose che prevedono l’esclusione di alcuni cibi (definiti “tabù” perchè potenzialmente ingrassanti), rigidi limiti calorici, il digiuno, il mangiare entro una certa ora, e così via, che porteranno inevitabilmente all’abbuffata, per fame, per desiderio impellente (craving) di tutto ciò di cui è stato privato forzatamente l’organismo, soprattutto se in contemporanea si verificano eventi che provocano emozioni negative, le quali vengono gestite attraverso l’abbuffata. IL perfezionismo può essere definito come un tratto di personalità (una caratteristica stabile delle persone) che caratterizza quelle persone che si sforzano di ottenere il livello più alto possibile di standard e aspettative, evitando contemporaneamente errori e imperfezioni. Per una persona perfezionista, la dieta può essere un comportamento da seguire secondo degli standard rigidi di perfezione e dove l’immancabile fallimento delle aspettative (es. “avrei dovuto evitare il dolce, invece non ho resistito, tanto vale che mi abbuffi e mangi tutti i dolci del buffèt”) scatena l’abbuffata, come tentativo di scappare da uno stato emotivo interno spiacevole e doloroso. Pertanto la restrizione dietetica indurrebbe le abbuffate attraverso una deprivazione percepita che porta a un’ iperalimentazione compensatoria. A questo proposito è utile distinguere due tipi di restrizioni dietetiche: una restrizione dietetica calorica (assumere con la dieta un contenuto calorico al di sotto del fabbisogno fisiologico) e una restrizione dietetica cognitiva (le regole alimentari che devono essere seguite). Questa seconda caratteristica, sebbene possa essere associata a un normopeso e/o a un regime alimentare non restrittivo da un punto di vista calorico/alimentare, è un fenomeno cognitivo che riveste un ruolo importante nel mantenimento delle abbuffate e pertanto deve essere affrontato e ridotto nel trattamento.
Un altro fattore che potrebbe essere rilevante per il binge eating è l’ansia sociale. La letteratura scientifica supporta l’associazione tra disturbi alimentari e ansia sociale. Otrovsky et al. ( 2013) hanno trovato che individui obesi con un disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) avevano più elevate percentuali di ansia sociale in comorbidità rispetto alla popolazione generale o a individui obesi senza DAI.
Una specifica forma di ansia sociale che è stato dimostrato essere associata sia alla bulimia nervosa che all’anoressia è l’ansia per il proprio aspetto sociale, ovvero il timore di un giudizio globale sul proprio aspetto che sembra influenzare e mantenere nel tempo il disturbo e che quindi deve essere discusso all’interno di un trattamento (Dakanalis et al., 2016; Levinson & Rodebaugh, 2012; Levinson et al., 2013).
La terapia cognitivo-comportamentale rappresenta il gold standard per il trattamento di questi disturbi, affrontando i meccanismi cognitivi, affettivi e comportamentali che mantengono i sintomi del disturbo. Accanto a fattori comuni a tutti coloro che hanno un disturbo alimentare (dispercezione corporea, restrizione dietetica alimentare e/o cognitiva, check del peso e del corpo, sensazione di grassezza, pensieri distorti sul cibo, peso e corpo, ecc) ci sono differenze individuali legate a specifici tratti o veri e propri disturbi di personalità in comorbidità, livelli diversi di gravità nella regolazione emotiva, nel controllo e perfezionismo che devono essere prese in considerazione sia per poter individualizzare il più possibile il trattamento, sia per poter regolare la relazione terapeutica e lavorare anche in ottica di prevenzione delle ricadute nel lungo periodo.