Dott.ssa Laura Marchi

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

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Il paradosso delle tecniche di rilassamento: quando invece di rilassare inducono l’ansia

tecniche di rilassamento controproducentiIl Disturbo d’Ansia Generalizzata (DAG) è caratterizzata da un rimuginio eccessivo e incontrollabile e da ansia scatenata da un ampio range di potenziali eventi negativi futuri (Newman et al., 2013).

Il rimuginio è l’aspetto centrale di questo disturbo, ma è presente anche in altri disturbi d’ansia, depressivi e disturbi di personalità.

Le tecniche di rilassamento (rilassamento muscolare progressivo, respirazione diaframmatica, ecc) vengono spesso impiegate nel trattamento cognitivo-comportamentale del DAG.

Lo scopo principale delle tecniche di rilassamento è quello di insegnare alle persone abilità di coping che le aiutino a rilassarsi rapidamente e a ridurre la risposta ansiosa. I soggetti vengono invitati ad allenarsi quotidianamente nella tecnica di rilassamento proposta dal terapeuta in seduta in modo da imparare ad applicarla nella quotidianità in risposta a eventi o stimoli fonti di ansia.

Il beneficio è quello di arrivare a una riduzione della tensione fisiologica e dell’ansia applicando la tecnica alla prima comparsa di tensione o di rimuginio, in modo da interrompere il circolo vizioso che porta all’aumento dell’ansia e della tensione fisica stesse (Borkovec and Costello, 1993; Öst, 1987).

Il rilassamento però non porta sempre a una riduzione dell’ansia, al contrario potrebbe aumentarla in certi individui. Questo aumento paradossale viene chiamato Ansia Indotta dal Rilassamento e, nella dicitura inglese Relaxation Induced Anxiety(RIA; Heide and Borkovec, 1983). Questo fenomeno è stato descritto come un picco di ansia, tensione muscolare, pensieri o immagini ansiogene in individui che si stanno impegnando in esercizi di rilassamento (Heide and Borkovec,1983; Heide and Borkovec, 1984).

E’ piuttosto singolare questo fenomeno considerando che l’ansia come esito del rilassamento è esattamente l’opposto di quello che si propone di ottenere e che i soggetti con disturbi d’ansia, che hanno più bisogno di imparare il rilassamento e quindi di ridurre lo stato ansioso, sono anche quelli più vulnerabili a risposte di ansia inaspettate.

Sfortunatamente, è stata data poca attenzione al fenomeno dell’ansia indotta dal rilassamento. Heide and Borkovec (1983) sono stati i primi a studiarlo in una ricerca dove è emerso che tra i partecipanti con tensione cronica, il 30.8% di coloro che si impegnavano nel rilassamento muscolare progressivo e il 53.8% di coloro che praticavano la meditazione sperimentavano RIA. Similmente, Norton et al. (1985) ha trovato che l’ansia indotta del rilassamento era associata con livelli più alti di rimuginio, ansia e frequenza cardiaca.

Un altro studio ha trovato che individui con livelli più alti di RIA avevano una paura più elevata di diventare ansiosi e di perdere il controllo delle loro risposte di ansia rispetto agli individui con livelli più bassi di RIA (Braith et al., 1988).

Questo fenomeno sembra predire gli esiti negativi del trattamento in termini di minore riduzione dell’ansia e della depressione a seguito di interventi che prevedono tecniche di rilassamento (Borkovec et al., 1987, Borkovec and Costello, 1993).

Ci sono dati di letteratura ad oggi ancora insufficienti sui meccanismi del RIA ma alcune ipotesi significative sono state fatte.  La prima ipotesi suggerisce che il rilassamento porta le persone a focalizzarsi sui propri stati fisiologici interni (sensazioni fisiche, emozioni) e questo potrebbe renderli più sensibili e vulnerabili alla tensione del corpo.

Come conseguenza, il rilassamento provocherebbe un’ansia indotta da un arousal più elevato, o paura della paura (Braith et al., 1988, Heide and Borkovec, 1983, Heide and Borkovec, 1984, Norton et al., 1985, Reiss, 1987). Un’ altra ipotesi è che il RIA sia il risultato della convinzione e paura degli individui ansiosi di non essere capaci di controllare le loro emozioni negative (paura di perdere il controllo sulle emozioni; Braith et al., 1988, Heide and Borkovec, 1983, Heide and Borkovec, 1984, Norton et al., 1985).

Queste ipotesi sono simili al Modello del Rimuginio di Evitamento del Contrasto (Contrast Avoidance Model of Worry; Newman and Llera, 2011, Newman et al., 2013). Mentre le precedenti teorie sul rimuginio hanno suggerito che il worry riduce l’ansia (Newman e Llera, 2011), il modello di evitamento del contrasto suggerisce che il worry aumenta le emozioni negative e che gli individui con ansia preferiscono mantenere uno statto d’animo costantemente negativo come protezione contro un aumento improvviso dello stesso (es. “se sono già preoccupato e mi sento male, non percepirò chissà quale aumento dello stato d’animo negativo, quando mi capiterà qualcosa di realmente brutto”).

In modo simile alla nozione di ansia indotta dal rilassamento, il modello suggerisce che essere in uno stato di rilassamento rende più probabile che gli individui sperimentino le emozioni negative all’improvviso, se dovessero sperimentare un evento stressante o negativo. Di conseguenza, data la paura di perdere il controllo, gli individui ansiosi continuerebbero a sentirsi in ansia durante il processo di rilassamento. In questa ottica, il RIA potrebbe essere il risultato di un contrasto negativo (tra stato rilassato e stato ansioso) e del desiderio di mantenere uno stato emozionale negativo in modo costante (Llera and Newman, 2014; Newman et al., 2018).

Gli individui con GAD, paragonati ai soggetti non affetti da disturbi d’ansia, sarebbero più sensibili e proverebbero un disagio sensibilmente maggiore nei confronti dell’esperienza di contrasto tra uno stato emotivo di rilassamento e uno negativo. Per questo motivo i soggetti con GAD preferirebbero un umore negativo a uno stato di eutimia (However, Llera e Newman, 2014, 2017); per quanto sembri paradossale, ha una sua spiegazione logica se pensiamo al fatto che per questi soggetti sentirsi bene li rende più vulnerabili a percepire il contrasto emozionale negativo, aspetto che temono perchè convinti di non poter controllare.

Per quanto riguarda il trattamento, sembra essere efficace unire sia interventi di tipo cognitivo che comportamentale. L’intervento cognitivo potrebbe essere implementato modificando la paura dei pazienti delle emozioni negative improvvise e le credenze positive sul rimuginio.

Inoltre, esponendo ripetutamente i pazienti al contrasto (es. impegnarli in lunghe sessioni di rilassamento prima di esporli a immagini negative), essi potrebbero desensibilizzare la loro avversione ai cambiamenti improvvisi dello stato d’animo da positivo a negativo.

Qualsiasi tecnica di rilassamento dovrebbe essere impiegata dai terapeuti in seduta senza essere abbreviata o stoppata, ma fino a che l’ansia non decresce.

Le 7 regole d’oro per una vita di coppia felice secondo John Gottman

Professore di psicologia all’ Università di Washington e fondatore del “Love Lab” di Seattle, Gottman ha capito quali sono gli errori e rimedi per far funzionare l’amore. Sempre che ci siano i presupposti, s’intende. Da quel laboratorio è uscito un vero e proprio manuale: oltre più di 200 pubblicazioni scientifiche, una serie di libri tra cui “Intelligenza emotiva per la coppia“,  grazie alle migliaia di persone che si sono affidate per sottoporre i loro atteggiamenti virtuosi o conflittuali.

Secondo Gottman, la riuscita di una coppia è sorprendentemente semplice

Le coppie felici non sono né più intelligenti, né più portate alla psicologia delle altre, ma nella loro vita quotidiana sono riuscite a stabilire una dinamica che impedisce ai pensieri e ai sentimenti negativi che esistono in ogni coppia di sommergere i pensieri e sentimenti positivi. In altre parole, secondo Gottman, sono coppie emotivamente intelligenti.

Le 7 regole d'oro per una vita di coppia felice

Secondo i dati ISTAT in Italia il numero delle separazioni e dei divorzi ha quasi raggiunto la metà del numero dei matrimoni: sono cifre clamorose che indicano che stare insieme – e restarci – sta diventando sempre più improbabile. A partire dal 1972 John Gottman e i suoi colleghi hanno incontrato migliaia di coppie, alcune volontarie, altre che avevano contattato il “Love Lab” per iniziare una terapia. Tutti gli incontri sono stati filmati, registrati e analizzati, e durante le conversazioni tra i partners sono stati misurati e registrati molti dei loro parametri fisiologici, per esempio il ritmo cardiaco, la traspirazione, la tensione arteriosa e alcune funzioni immunitarie. Le coppie sono state seguite periodicamente per anni dopo il primo incontro, e Gottman e la sua équipe hanno cercato di rintracciare gli elementi negativi ricorrenti per cercare di stabilire se e in quale misura è possibile prevedere la riuscita o il fallimento di una relazione di coppia.
Le sette regole d’oro di Gottman sono quindi il risultato di 27 anni di studi sistematici, di migliaia e migliaia di incontri e conversazioni con coppie di tutte le etnie, estrazioni sociali, confessioni religiose e livello culturale ed economico. Si tratta di consigli semplici da seguire quando tutto va bene per rinforzare la coppia, e quando le cose si mettono male per cercare di arginare la negatività e impedire l’escalation dei conflitti.

I primi indizi che la relazione sta soffrendo si manifestano nelle modalità di gestione dei litigi

Quando gli approcci sono brutali, colmi di rimproveri e di insulti, di disprezzo e mancanza di considerazione, il rapporto di coppia è fortemente compromesso. La situazione può essere ancora aggravata da un linguaggio corporeo che esprime indifferenza o sfida, e dal fallimento sistematico di qualunque tentativo di gentilezza o di riparazione. I partners si allontanano sempre di più, si parlano solo per ferirsi e del passato comune che in condizioni normali è un efficace serbatoio di positività non resta altro che delusione e qualche ricordo sbiadito e non più collocabile.

Le 7 regole d’oro di Gottman

Eppure, come dice Gottman, anche quando sembra che non ci sia più niente da salvare tranne l’intenzione di non distruggere tutto, “non è finita finché non è finita”.

Regola numero 1 – arricchire il menù della tenerezza

“Per quanto possa sembrare bizzarro, molte coppie finiscono per non prestare più attenzione ai dettagli che costituiscono l’essenza della vita in comune. Uno o entrambi i partners finiscono per non avere la più vaga idea riguardo ai gusti, le avversioni, i timori, i sogni o le gioie dell’altro”.

Conoscere i propri universi reciproci è un segno importante di considerazione per l’altro, ed è l’unico modo per costruire quello che Gottman chiama il menù della tenerezza. Questo vuol dire riservare una parte delle proprie capacità cognitive alla vita a due: ricordarsi gli eventi significativi della vita dell’altro, delle persone che popolano la sua esistenza affettiva e professionale, dei suoi complessi e delle sue ambizioni – in breve, significa conoscerlo. “Questa è solo la prima tappa – scrive Gottman – perché le coppie riuscite non si accontentano di conoscersi, ma utilizzano queste conoscenze per arricchire la relazione e per esprimere non solo la comprensione del partner ma anche la tenerezza e la stima”.

Regola numero 2 – Coltivare la tenerezza e la stima reciproche

“La tenerezza e la stima sono due degli elementi più importanti di un amore a lungo termine. Anche se perfino nei ménages felici possono talvolta verificarsi liti esasperanti, i partners restano comunque convinti che il compagno meriti di essere onorato e rispettato. Quando questo sentimento è totalmente assente, la relazione non ha alcuna speranza di sopravvivere”. Ma quando questi due sentimenti sono in via di esaurimento, si possono rinforzare ricordando a se stessi quanto sono preziosi. Stima e tenerezza sono gli unici argini al dilagare del disprezzo nel rapporto, ed essere consci di quanto si prova di positivo per il partner riduce i rischi di trattarlo con superiorità durante una discussione.

Regola numero 3 – Avvicinarsi

Secondo Gottman “Hollywood ha deformato tremendamente le nostre idee dell’amore
e di ciò che alimenta la passione. Nella vita reale, il rapporto si nutre di piccoli gesti banali: ogni volta che fate sapere al vostro partner che tenete a lui nella quotidianità, voi alimentate la fiamma. Le scene che preferisco al Love Lab sono esattamente quelle che Hollywood eliminerebbe in sala di montaggio”.

Le piccole istantanee della vita quotidiana mantengono lo slancio alla coppia: leggere il giornale insieme, chiacchierare la mattina a colazione, sono questi tra mille altri i gesti condivisi miliardi di volte, forse banali, in realtà uniche prove di un contatto costante e indistruttibile. La vicinanza emotiva è anche una buona riserva di sicurezza nei tempi di crisi, proprio se o è costruita nei gesti routinari, nelle piccole attenzioni. Non serve a niente, secondo Gottman, la cena annuale a lume di candela nel grande ristorante, se si presenta come un’isola tra mesi di isolamento e silenzio.

Meglio mantenere il contatto un giorno dopo l’altro che scappare in vacanza alle Bahamas, perché “la vita a due è come una danza. A volte vogliamo stare vicini al nostro amore, a volte vogliamo staccarci per un po’. Lo spettro dei bisogni “normali” in materia è molto ampio – alcuni hanno bisogni più frequenti di complicità, altri sono più indipendenti. Una coppia può funzionare anche se i partners si collocano ai due estremi dello spettro, se solo sono in grado di capire le ragioni per le quali provano questi sentimenti, e sono capaci di rispettare le differenze”.

Regola numero 4 – Lasciarsi influenzare dal partner

Secondo le ricerche di Gottman sembra che questo sia un problema tipicamente maschile, perché analizzando i dati “siamo stati sorpresi dalla differenza tra i sessi. Anche se le donne sono capaci di esprimere collera o altre emozioni negative verso il partner, raramente giocano al rilancio nella negatività.

Per la maggior parte, le donne rispondono sullo stesso tono oppure cercano di calmare la situazione. Se un uomo dice “tu non mi ascolti!”, la donna risponderà in generale: “scusa, ora ti ascolto”. Ma il 65% degli uomini non userà né l’una, né l’altra di queste risposte. Le loro reazioni genereranno una escalation nella negatività, per esempio rispondendo: “OK, non ti sto ascoltando. E allora?”, oppure “non ti ascolto perché non mi interessa”, o peggio ancora “perché dovrei perdere il mio tempo?””. Anche in epoca di uguaglianza tra i sessi, tra le dichiarazioni di intento e la realtà c’è un abisso. Molti uomini si definiscono addirittura femministi, e se interrogati sulla visione dei ruoli uomo/donna nella coppia si dichiareranno certamente a favore di una condivisione egualitaria del potere. In teoria. Perché nella realtà, per uomini abituati da millenni al dominio, imparare a cedere non è compito facile. In almeno l’80% dei casi, secondo Gottman, è la donna a sollevare i problemi di coppia più spinosi, mentre gli uomini cercano con ogni mezzo di evitare la discussione. Imparare a condividere il potere significa anche dar retta all’altro, lasciarsi influenzare dal suo punto di vista, tenerlo in considerazione. Ed è l’unico modo per evitare incrostazioni di rancore, perché a nessuno piace avere la sensazione di non contare niente.

Regola numero 5 – Risolvere i problemi risolvibili

Il quinto principio di Gottman è basato sulla capacità di mettersi nei panni del partner e di ascoltarlo con attenzione, mostrando poi di aver compreso il suo punto di vista. Questi sono i gesti fondamentali:

  • cominciare la discussione con calma
  • imparare a fare e ad accettare i tentativi di avvicinamento
  • rassicurare se stessi e il partner
  • promuovere i compromessi
  • Essere tolleranti verso i difetti del partner.

In sostanza, Gottman scrive che dovremmo trattare il partner almeno con la stessa cortesia e attenzione che riserveremmo a un conoscente. Le liti frequenti e violente non rappresentano che il 40% delle cause di divorzio negli USA; molto più spesso le coppie si separano perché l’uomo e la donna si allontanano l’uno dall’altra fino a perdere completamente amicizia e complicità. Per evitare la delusione reciproca e le sue conseguenze è importante imparare a gestire correttamente i conflitti, e Gottman ricorda che una lite si concluderà esattamente nello stesso tono con cui è cominciata. Allora per litigare “bene”, sarà sufficiente ricordare questi semplici punti:

  • lamentatevi, ma non incolpate l’altro
  • cominciate le vostre frasi con “io”, invece che con “tu”
  • descrivete la situazione senza valutare o giudicare l’altro
  • siate chiari
  • siate gentili
  • siate diplomatici
  • non lasciate accumulare i rimproveri

Regola numero 6 – Superare i blocchi

I blocchi si riferiscono a problemi molto difficili da risolvere e che toccano aspirazioni, credenze, caratteristiche radicali delle persone, per esempio il dissenso tra volere e non volere figli, tra vita casalinga e un’intensa vita mondana, e così via. L’obiettivo non è in questo caso il risolvere il problema in sé, quanto piuttosto riuscire a spostarlo dal blocco al dialogo, trasformandolo in qualcosa di cui si possa finalmente parlare. Su divergenze di questa entità nemmeno Gottman ha una visione ottimistica, perché “un conflitto bloccato resterà senza dubbio un problema cronico nella vostra coppia, ma un giorno potrete parlarne senza troppo ferirvi a vicenda. Imparerete a conviverci.”

L’invito è quindi a cercare le cause del blocco, sia che si tratti di un problema irrisorio, sia che si tratti invece del più serio di tutti. Perché in ogni caso le divergenze profonde nascono da una ferita causata alle aspirazioni più intime di uno dei partner o di entrambi – per esempio, spiega Gottman, il denaro rappresenta spesso un bisogno fortissimo di sicurezza affettiva, più che il mero potere di acquisto o una riserva di tranquillità economica.

Di fronte ai problemi arrivati allo stallo il consiglio di Gottman non è quello di cedere, né di lasciar perdere: in generale, anzi, è meglio pretendere molto dalla propria relazione, piuttosto che troppo poco. Forse all’inizio i problemi si acuiranno invece che risolversi, ma la coppia ne guadagnerà comunque in sincerità e verità, e prima o poi riuscirà a trovare un modo di convivere anche con i limiti invalicabili.

Regola numero 7 – Andare nella stessa direzione

E’ capitato a molte coppie che hanno frequentato il Love Lab di arrivare un giorno a chiedersi se il senso dell’unione era davvero tutto in quella ripetizione di gesti e di abitudini, e se forse il significato vero della parola coppia non era stato smarrito strada facendo. Questa sensazione è segno della mancanza “di un sentimento profondo di un significato, di un senso condiviso.

La coppia non si esaurisce nell’educazione dei bambini, la condivisione dei compiti e le relazioni sessuali, ma possiede anche una dimensione spirituale legata alla creazione di una vita interiore vissuta a due – una “cultura della coppia” ricca di simboli e di riti, e anche all’apprezzare i ruoli e i fini che uniscono due persone e le conducono a comprendere che cosa significhi appartenere alla famiglia che si è diventati.” Inoltre, “il nostro concetto del posto che occupiamo nel mondo è in gran parte fondato sui diversi ruoli che assumiamo – sposo, figlio, genitore, lavoratore.

Dal punto di vista della coppia lo sguardo che portiamo sui nostri propri ruoli e su quelli del nostro compagno possono portare molta armonia, oppure suscitare tensione. La vostra relazione sarà tanto più profonda quanto più le vostre aspettative reciproche sono simili. Non si tratta qui di problemi apparentemente superficiali come decidere dove trascorrere le vacanze, ma dei vostri sentimenti profondi su ciò che vi aspettate da voi stessi e dal partner.

Più i vostri punti di vista saranno convergenti sui grandi temi, più la vostra relazione sarà forte. E questo non significa che dovrete essere d’accordo su tutti gli aspetti filosofici o spirituali della vita, ma che la vostra relazione dovrà essere complice in tanti altri aspetti per poter neutralizzare le divergenze”.

E infine, le cinque ore magiche: 10 minuti per salutarsi al mattino, 1.40 ore per chiacchierare alla fine della giornata, 35 minuti di coccole, due ore tutte per voi ogni settimana. Questo è il tempo minimo richiesto alla manutenzione della coppia, senza dimenticare l’ultima lezione di Gottman, che ci invita a ricordare che “qualche attimo consacrato ogni giorno alla vostra coppia farà bene alla vostra salute e gioverà alla vostra longevità molto di più di qualche ora trascorsa in palestra.

Narcisismo grandioso e vulnerabile nelle relazioni di coppia

Narcisismo grandioso e vulnerabile nelle relazioni di coppia

narcisismo relazioni di coppia

La letteratura mostra che il narcisismo è tipicamente associato a disfunzioni nelle relazioni interpersonali, dovute a un senso grandioso di importanza personale e comportamenti competitivi (APA, 2013) che influenzano significativamente la tendenza ad agire in modo aggressivo e prepotente.

Questi comportamenti influenzano la qualità delle relazioni di coppia e sono considerati forme di abuso psicologico.

Uno studio italiano recente (Ponti, Ghinassi, Tani, 2019) ha esplorato le variabili coinvolte nell’insorgenza e mantenimento dell’abuso psicologico.

In particolare, è stato indagato il ruolo giocato dalla gelosia romantica, dal momento che è legata al narcisismo (Barelds, Dijkstra, Groothof, Pastoor, 2017) ed è spesso indicata come causa principale di abuso psicologico nelle coppie (Bus, 2000).

La ricerca ha sottolineato la presenza di 2 differenti componenti del narcisismo, vulnerabile e grandiosa (Campbell e Foster, 2007; Lapsley e Aalsma, 2006).

Narcisismo vulnerabile, Narcisismo grandioso

Entrambe le forme di narcisismo condividono: fantasie grandiose, sfruttamento degli altri, idea di aver diritto a privilegi e trattamenti speciali.

I narcisisti grandiosi sono caratterizzati da arroganza, grandiosità, egoismo, mancanza di empatia e usano strategie maladattive per migliorare o ristabilire un’immagine positiva di sè (Pincus, Cain e Wright, 2014).
Quando la loro autostima viene minacciata cercano di ristabilirla svalutando chi li criticati, umiliati e/o fatti sentire in qualche modo inadeguati.
Questa forma di narcisismo è più diffusa negli uomini, mentre per il  tipo vulnerabile non emergono differenze di genere (Grijalva et al., 2015).

I narcisisti vulnerabili tendono ad essere timidi, imbarazzati e ansiosi con una fragile autostima che è influenzata e regolata dalle risposte degli altri (Dickinson e Pincus, 2003).
Rispetto ai narcisisti grandiosi, tendono a essere più inclini a sperimentare emozioni negative; questa forma di narcisismo correla con una ridotta soddisfazione nella vita (Miller e Campbell, 2008), depressione, ansia e paranoia (Miller et al., 2011) e si associa ad attaccamento ansioso e sensibilità al rifiuto (Besser e Priel, 2009).

Abuso psicologico

Per abuso psicologico si intende una forma di violenza interpersonale caratterizzata da un’ampia varietà di comportamenti che vanno dalla dominanza, al controllo, all’isolamento dell’altro, minacce fisiche, criticismo, che portano a conseguenze negative sul benessere relazionale, fisico e psicologico delle vittime (Fallingstod e DeHart, 2000).
Nello studio di Ponti, Ghinassi e Tani (2019) è emerso che la gelosia romantica è un predittore significativo di abuso psicologico all’interno della coppia.

La tendenza a sperimentare la gelosia in coppia varia a seconda del genere: le donne riportano livelli più alti di gelosia rispetto agli uomini.
Rispetto alle due forme di narcisismo, i risultati dello studio mostrano che le differenze di genere sono presenti solo per la forma grandiosa, dove gli uomini riportavano livelli più alti delle donne, mentre non sono emerse differenze di genere rispetto al narcisismo vulnerabile e all’abuso psicologico.
Questo risultato indica che i comportamenti di abuso psicologico, come minacce, controllo del partner, critiche, tentativi di isolamento e di dominio sull’altro, vengono messi in atto da entrambi della coppia indistintamente.
Il campione dello studio è composto da 473 studenti universitari di età compresa tra i 18 e i 30 anni; i risultati emersi da questo campione sono in linea con precedenti studi nazionali e internazionali che mostrano come l’abuso psicologico sia frequente nella relazione di coppia soprattutto durante la transizione all’età adulta nelle culture occidentali.

Le due forme di narcisismo sono legate al perpetuarsi dell’abuso psicologico nella coppia in modo differente.
I soggetti con livelli elevati di narcisismo (tipo vulnerabile) avevano anche livelli elevati di gelosia verso il partner che, a sua volta, è un fattore di rischio per agire condotte abusanti verso il partner.
Questo risultato si può spiegare considerando che il narcisista vulnerabile sperimenta molta ansia nelle relazioni significative, è fortemente sensibile ai segnali di separazione e sperimenta un distress più intenso in caso di abbandono (Besser e Priel, 2009, 2010).
Questo porta a una maggiore vigilanza alle potenziali minacce alla relazione che come effetto ha quello di aumentare il sentimento di gelosia.

Pertanto il legame tra il narcisismo vulnerabile e l’abuso psicologico è mediato dalla gelosia romantica.

Nel narcisista grandioso la tendenza ad essere psicologicamente abusante con il partner è diretta e non mediata dalla gelosia.
Questi individui che sono indifferenti rispetto ai sentimenti dei loro partner e hanno difficoltà a capire l’impatto del loro comportamento sugli altri, tendono ad agire l’abuso psicologico attraverso comportamenti di isolamento, denigrazione, controllo del pertner, in modo da conservare un’elevata immagine di se e mantenere potere nella relazione (Pincus et al., 2014).

Un’analisi cognitiva della psicopatologia centrale dell’Anoressia Nervosa.

L’ Anoressia Nervosa è un disturbo complesso dall’eziologia ancora sconosciuta, sebbene dati di letteratura scientifica suggeriscano che derivi dall’interazione di molteplici fattori di natura genetica e ambientale. Sebbene nei soggetti affetti da Anoressia Nervosa sia presente il terrore di aumentare di peso e di diventare grassi, non è possibile concettualizzarlo come un semplice disturbo fobico per diverse ragioni. La prima è che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma corporea non sono solo la conseguenza della paura di ingrassare, ma sono associati ad un senso di trionfo, di superiorità, di soddisfazione, di orgoglio; la perdita di peso è spesso vissuta come un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, una virtù, una “fonte di piacere”. Questa condizione, in cui la maggior parte dei pazienti esalta le virtù dello stato patologico adottando attivamente comportamenti di controllo del peso “ego-sintonici” (dieta rigida e estrema, esercizio fisico eccessivo, vomito auto-indotto, uso improprio di diuretici e lassativi) è molto diverso da una semplice fobia del peso.

anoressia nervosa

Il controllo del peso e della forma corporea rappresentano la psicopatologia centrale e specifica dei disturbi alimentari, mentre la fobia del peso rappresenta un’espressione secondaria del disturbo. In accordo alla teoria cognitivo-comportamentale più moderna, il cuore di tutti i disturbi alimentari sarebbe uno schema distintivo di auto-valutazione caratterizzato da un’ipervalutazione del peso e della forma corporea e del loro controllo; in altre parole chi soffre di un disturbo alimentare giudica se stesso e il proprio valore esclusivamente o in modo predominante in termini di peso, forma corporea, questo significa “valgo se e solo se raggiungo questo peso, ho questa forma corporea e se riesco a non mangiare” (Fairburn, Cooper, & Shafran, 2003). Da questa prospettiva è possibile comprendere il senso di comportamenti estremi di controllo del peso apparentemente privi di logica e le espressioni associate (es. il body checking e l’evitamento del corpo, il sentirsi grassi, preoccupazioni per la forma corporea, il cibo e il peso e la marginalizzazione di altre aree di vita), se una persona crede che il controllo del peso e del corpo sia vitale per giudicare il suo valore personale. Inoltre la restrizione dietetica e il basso peso corporeo determinano lo sviluppo di numerosi sintomi di malnutrizione, di natura sia fisica che psicologica e sociale (Calugi, Chignola, El

Ghoch, & Dalle Grave, 2018) che, a loro volta, contribuiscono a mantenere il disturbo alimentare attraverso meccanismi distinti. Ad esempio, il ritardo dello svuotamento gastrico come conseguenza della malnutrizione, produce un precoce senso di pienezza anche dopo l’ingestione di una modesta quantità di cibo; il ritiro sociale tipico di questi pazienti e secondario alla malnutrizione, intensifica l’uso del peso e della forma corporea come mezzi di auto-valutazione; e la preoccupazione per l’alimentazione secondaria alla restrizione dietetica accentua l’adozione di regole dietetiche rigide e estreme  (Dalle Grave, Pasqualoni, & Marchesini, 2011). Le abbuffate, riportate da un sottogruppo di pazienti con Anoressia Nervosa (tipo Binge-Purging) derivano dall’ipervalutazione del peso e della forma corporea e sono mantenute dal tentativo di aderire alle rigide regole dietetiche e/o gestire gli eventi esterni e gli stati d’animo negativi associati (Fairburn et al., 2003).

La terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi alimentari (CBT-E) si basa sulla concettualizzazione descritta sopra e si pone come scopo principale quello di aiutare i pazienti a sviluppare uno schema di auto-valutazione più articolato e funzionale. Per raggiungere tale obiettivo, il trattamento usa specifiche strategie e procedure (es. auto-monitoraggio in tempo reale e la costruzione di una formulazione personalizzata del disturbo) che ha lo scopo di educare i pazienti circa i processi che stanno mantenendo il disturbo e aiutarli a smettere di identificare se stessi con il problema. I pazienti vengono incoraggiati a fare dei graduali cambiamenti comportamentali per valutare gli effetti e le implicazioni sul loro modo di pensare. Il trattamento è strutturato in modo da far sentire i pazienti in controllo, ad esempio pianificando in anticipo i pasti e introducendo in modo graduale i cibi evitati e creando un bilancio energetico positivo che determinerà un aumento di peso settimanale controllato e prevedibile. Essendo in grado di predire gli effetti sul peso di quello che mangeranno, i pazienti saranno più in grado di tollerare l’ansia associata con il recupero del peso e l’inserimento dei cibi evitati. Il trattamento prevede la collaborazione di più figure professionali; oltre allo psicoterapeuta specializzato spesso è necessaria la collaborazione con dietisti esperti  di riabilitazione nutrizionale di pazienti con disturbo alimentari e, in alcuni casi, può essere utile un supporto farmacologico. Il lavoro di squadra aiuta a raggiungere risultati importanti nell’attaccare un disturbo che è tra i più resistenti al cambiamento.

 

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Cosa vuol dire stare in coppia? Dall’innamoramento alla fine di un amore

L’elemento simbolico che nel tempo è stato maggiormente associato all’amore è il fuoco. Il fuoco si accende e brucia, ma se non viene alimentato si spegne. Difficile spiegare il fuoco, così come è difficile se non impossibile spiegare l’amore. L’amore è simile al fuoco, ma brucia o dura? L’amore è un fuoco che brucia ma non dura o se dura allora è destinato a non bruciare? Il grande dilemma dell’amore è proprio questo: sembra che la realtà attuale delle coppie ci dimostri che l’amore tende a non durare, anche se è stato preceduto da un grande innamoramento, da una grande passione iniziale.

fine di un amore

Stare in coppia significa trovare un modo proprio di stare insieme a un’altra persona in condizioni di serenità, tranquillità e soddisfazione. La soddisfazione di coppia è legata alla presenza di tre elementi fondamentali senza i quali non è possibile parlare di una sana relazione d’amore. Il primo è la presenza di un legame di attaccamento sicuro, ovvero la fiducia nel fatto che il partner rappresenti una base sicura, fonte di accudimento e vicinanza affettiva. Il secondo è la presenza di una sessualità attiva e appagante, senza la quale i due partner possono essere definiti al più dei buoni amici e confidenti, ma non una coppia. Terzo elemento importante di una coppia è la condivisione di momenti ed esperienze piacevoli che coinvolgono entrambi e che spesso tendono a perdersi con l’aumentare dei doveri e delle responsabilità di coppia.

La dimensione dell’innamoramento è senza dubbio la più bella da vivere al punto che continuiamo a sposarci e a fare progetti a lungo termine nell’illusione che questo sentimento durerà, sebbene le statistiche raccontino una realtà diversa. Infatti, come afferma lo psicologo Walter Riso, il 50% delle coppie si separa e dell’altro 50% che non lo fa, più della metà non vive bene. C’è solo un 20% delle coppie che si realizza in amore e si sente libero.

Il modo in cui noi viviamo la relazione amorosa e il significato che ad essa diamo deriva ed è uno sviluppo della primissima relazione con la figura caregiver (accudente) di riferimento. Il riferimento principale è lo studio che è stato fatto da Mary Ainsworth: la psicologa osservò che i piccoli, posti in una situazione inconsueta, separati dalla madre e messi con uno sconosciuto, al rientro della madre reagivano in tre modi diversi:

  • Sicuri
    Tollerano brevi separazioni, sono contenti quando la madre torna ed hanno fiducia che la loro madre tornerà.
  • Evitanti
    Sono disinteressati al rientro della madre, sembrano da lei distanti e non hanno fiducia nel suo rientro.
  • Ambivalenti-resistenti
    Sono molto in difficoltà a tollerare la frustrazione della separazione e si aggrappano disperatamente a lei anche se con atteggiamento ambivalente.

Così gli innamorati della Relazione Sicura trovano facile avvicinarsi al partner e sperimentare con lui intimità, sono a loro agio sia nel dipendere che nel far dipendere l’altro da loro. Non pensano alla possibilità di essere abbandonati e della vicinanza emotiva.

Gli amanti della Relazione Evitante provano disagio rispetto alla vicinanza emotiva, per loro è difficile aver fiducia o poter dipendere da qualcun altro. Possono temere l’intimità ( timorosi) o mantengono fermi i paletti ( respingenti).

Quelli della Relazione Ansioso-Ambivalente-Resistente percepiscono invece una forma di riluttanza dell’altro verso di loro, l’idea che “non vuole veramente stare con me”. Vorrebbero la fusione, l’appartenenza ma tipicamente se agiscono questo desiderio, l’altro fugge.

Questi stili non sono più o meno buoni, dipendono molto dal contesto culturale (per l’europeo lo stile migliore è quello sicuro, mentre nei kibbutz israeliani e in Giappone lo standard è associato allo stile ansioso-ambivalente), in quanto tutto dipende dai significati che si danno alle relazioni e quindi dal contesto che li fornisce.

Un motivo per cui i rapporti terminano è che all’inizio il partner si sceglie sulla base di bisogni che ci sono in quel momento ( es. necessità di svincolarsi, necessità di fare figli, di avere un certo tipo di famiglia alternativa alla propria). Si sceglie l’altro per ciò che è funzionale in quel dato momento di vita e se i bisogni di uno o di entrambi i partner cambiano, la coppia può entrare in crisi e, da qui, terminare o evolvere in una riorganizzazione. Se ad entrambi partner va bene stare insieme perché così non si è soli, oppure perche ci sono i figli o via dicendo la coppia può funzionare perché condivide. Se invece uno dei due non si trova d’accordo e quindi quando uno dei due ha una percezione differente o dell’importanza dell’amore o di quel che l’amore significa, allora le cose cambiano.

Ma questa differente prospettiva può accadere anche in seguito ad eventi esterni e contestuali e cioè ad un certo punto il sistema coppia è perturbato da un cambiamento ( una malattia, un lutto, ecc), cioè da un evento che crea una differenza, una nuova consapevolezza. La premessa al concetto del cambiamento è che, dagli studi fatti emerge come ci siano due parametri che contribuiscono alla resilienza della coppia e quindi alla sua forza di adattamento alle perturbazioni: il trovare del tempo per stare insieme e l’essere disposti ad operare dei cambiamenti per fare piacere all’altro. Le persone che sono soddisfatte delle loro relazioni infatti hanno voglia di stare col partner e di fare micro cambiamenti per far piacere all’altro.

 

La manipolazione nelle relazioni di coppia: come riconoscerla e uscirne

La relazione di coppia per essere definita sana e appagante deve prevedere reciprocità e autonomia individuale nelle decisioni e nella soddisfazioni dei bisogni. Portare avanti un rapporto a due evidentemente comporta un cambiamento di abitudini, un’organizzazione della propria routine quotidiana e delle scelte che comprenda anche le opinioni e le esigenze del partner. Il rispetto reciproco garantisce alla coppia di camminare su un binario parallelo di cooperazione dove non entrano in gioco squilibri di potere, tentativi di dominio e/o coercizioni. In questi casi si creerà una sana dipendenza affettiva dal partner, prodotto naturale dell’attaccamento all’altro, che diventa una base sicura che garantisce affetto, accudimento, protezione e vicinanza. L’autonomia personale viene conservata in questo tipo di relazione in quanto la sicurezza della coppia garantisce a ognuno di conservare uno spazio personale in cui può dedicarsi a interessi privati, prendere decisioni per se stesso/a parlandone con il partner senza temere eventuali reazioni aggressive. In questi casi il rapporto d’amore genera emozioni positive di sicurezza, tranquillità, gioia.

manipolazione - come riconoscrela

In altri casi le relazioni possono trasformarsi in vere e proprie “gabbie” che bloccano le persone nel loro percorso evolutivo e che, sebbene vengano spesso definite relazioni d’amore, sono in realtà relazioni caratterizzate da una dipendenza affettiva patologica, fonte di sofferenza emotiva. In questa tipologia di relazioni spesso è presente un partner manipolatore e una vittima della manipolazione, sebbene entrambi contribuiscano a mantenere cristallizzati i loro ruoli e a non spezzare certi meccanismi disfunzionali. Quando in una relazione di coppia c’è un manipolatore, si produce uno squilibrio di potere, e a lungo andare, la persona che viene manipolata si sentirà trascurata e intrappolata in un rapporto che la soffoca e annulla la sua personalità.

Ma quali sono i segnali di manipolazione?

1. Il partner vi fa sentire in colpa per tutto quello che accade all’interno della coppia

Se il partner tende a farvi sentire responsabili dei suoi malesseri, di quello che non va nella coppia, se vi fa dubitare dell’appropriatezza di certe vostre scelte o decisioni legittime, allora sta mettendo in atto una manipolazione nei vostri confronti. Il manipolatore (donna o uomo che sia) è molto abile nel deresponsabilizzarsi e proiettare le colpe sul partner relazionale. La sensazione che si prova quando si è vittime di manipolazione è quella di inadeguatezza, insicurezza (“sensazione di camminare sulle uova” e di dubitare persino di se stessi), colpevolezza, confusione. Il manipolatore non risparmierà critiche e rimproveri più o meno espliciti per insinuare dentro di voi senso di colpa.

2. Il partner mette in discussione le vostre capacità e finisce per farvi dubitare di voi stessi

Il manipolatore ha bisogno di vivere la relazione assumendo una posizione di dominio, è solo attraverso l’esercizio di un potere sull’altro che può colmare le proprie insicurezze e ottenere approvvigionamenti all’autostima. E’ chiaro che quanto più il manipolatore riesce a indebolire l’autonomia di giudizio e l’autostima del/della partner e quanto più questa dipenderà e finirà per aderire completamente alla visione del mondo dell’altro, annullandosi e perdendo la sua identità. Ovviamente, quando iniziate a cedere, perdete ogni potere decisionale, è come se metteste le redini della vostra vita nelle sue mani. Tuttavia, ricordate che una delle funzioni della coppia consiste proprio nel sostenersi l’un l’altro, aiutandosi a crescere mutuamente.

 3. Il partner proietta le sue debolezze/insicurezze su di voi

I manipolatori tendono a proiettare le loro insicurezze sul partner. Ad esempio, una persona può dirvi che dal momento che è stata tradita in passato, non vuole che usciate da soli con i vostri amici. Così, proietta su di voi le sue insicurezze e, facendo appello alla vostra comprensione, restringe la vostra libertà. Spesso il partner, sensibile, empatico e innamorato, cede a tali richieste per non far soffrire il manipolatore e quindi per evitare il senso di colpa conseguente. Non cedete a richieste che vi  privano di una libertà legittima all’interno di un rapporto d’amore maturo. Non è sano farsi carico delle insicurezze dell’altro quando queste minano la propria libertà e il proprio benessere.

4. Il partner vi attribuisce la responsabilità per le emozioni che prova

I manipolatori cercano in ogni modo di far sentire il partner responsabile degli stati emotivi negativi che prova. Pertanto se il vostro partner si sente triste o arrabbiato, è probabile che la colpa sia vostra perché probabilmente avete fatto qualcosa di sbagliato. Ovviamente, vivere su questa “montagna russa” emotiva non è salutare per l’equilibrio psicologico. Naturalmente, un rapporto che vi faccia sentire così male non vale la pena di essere vissuto. E’ necessario tener presente che ognuno è responsabile dei propri vissuti emotivi, gli altri contribuiscono con i loro comportamenti a scatenarli, ma dipende da noi gestirli e elaborarli. Se il manipolatore si sente spaventato all’idea di perdervi e per questo vi controlla e reagisce in modo aggressivo se rincasate tardi da lavoro, nonostante lo abbiate avvertito, questo è un suo problema, una sua insicurezza che non modificherete certo adeguandovi a ciò che lui/lei chiede.

5. Vi fa pensare che davvero desiderate ciò che lei/lui vuole

Quando inizia una relazione di coppia, è normale che entrambi si debba cambiare alcune delle proprie abitudini per costruire una vita insieme. Ma ciò che non è normale è che i bisogni ei desideri di una delle due persone vengano completamente trascurati. Se in una relazione si prendono in considerazione solo le opinioni ei desideri di una persona, è perché la manipolazione da parte di uno dei due ha avuto successo. Naturalmente, questo accade in modo subdolo, non viene quasi mai imposto. Il manipolatore è molto abile a far credere che la cosa migliore per entrambi è fare quello che lui/lei vuole. Quindi, se ad un certo punto nel rapporto ci si rende conto che le vostre esigenze, sogni e progetti non vengono presi in considerazione, è giunto forse il momento di riconsiderare il rapporto di coppia.

 

 

Il senso di solitudine e la dipendenza affettiva del narcisista

Siamo abituati a pensare al narcisista come a una persona piena di sè, arrogante, insensibile ai sentimenti altrui, immune dalla sofferenza provocata dalla fine di una storia e dal senso di abbandono, vuoto e solitudine che questa può provocare. Sebbene sia importante fare una distinzione tra una personalità che presenta tratti narcisistici non disfunzionali, quindi la persona che, sebbene ambiziosa, autonoma e sicura di sè, riesce a stare in una relazione di attaccamento impegnata, mostrando empatia e interessandosi all’altro e ai suoi bisogni e un vero e proprio disturbo di personalità narcisistico. In questo ultimo caso è chiaro che le conseguenze su un piano relazionale sono molto diverse.

Il bisogno di attenzione e ammirazione del narcisista sono talmente forti che in molti casi sceglie più di una “vittima”, in modo da assicurarsi  continui approvvigionamenti all’autostima così fragile e dipendente dalle conferme esterne. Non è raro, quindi, che il narcisista abbia una partner ufficiale, che può essere la moglie o la fidanzata, e una o più amanti tra le ex compagne che il narcisista stenterà a lasciar andare e le nuove conquiste. E’ molto raro trovare un narcisista completamente solo; è più facile trovarlo coinvolto in una nuova conquista, impegnato in una relazione, impegnato a riagganciare una ex partner, in ogni caso connesso in relazione con una o più donne che possano alimentare il suo grande bisogno di sedurre e avere attenzioni. Nella fase iniziale di un rapporto, il narcisista vitalizzato dalla novità, dal gusto della conquista, dall’euforia associata alla fase dell’innamoramento, tipicamente sfodera le sue armi migliori, non è raro che faccia dichiarazioni importanti più tipiche di una fase avanzata del rapporto (“tu sei la donna della mia vita”, “sposiamoci presto”, “lascerò mia moglie per te e faremo un figlio”, ecc) e che sia molto presente. Questa fase, definita di “love bombing”, ha però una durata limitata perchè prima o poi, una volta conquistata la partner, il narcisista mostrerà anche gli altri aspetti della sua personalità. Sotto l’immagine di autosufficienza, sicurezza, imperturbabilità, grandiosità più o meno manifesta che il narcisista vuole e cerca di mostrare al mondo, si nasconde un nucleo di vulnerabilità, non amabilità, inadeguatezza al quale il narcisista non accede e che si trasforma in una rabbia scaricata proprio sulla partner alla quale è affettivamente più legato e con la quale ha una relazione di attaccamento. Per il narcisista la solitudine è qualcosa di intollerabile, dal momento che nella solitudine sperimenta quell’antico vuoto affettivo che cerca di riempire continuamente attraverso le attenzioni degli altri, i successi lavorativi, le conquiste amorose. Se questi approvvigionamenti vengono a mancare (insuccesso lavorativo, fine di una storia, ecc) il narcisista sperimenta un grande senso di vuoto che può colmare ricercando le attenzioni di una seconda vittima, fonte di approvvigionamento secondario e, nel caso in cui essa non sia presente, troverà altri modi per non sentire quel vuoto  e rivitalizzarsi (uso sostanze, attività vitalizzanti, diete e allenamenti in palestra, ecc).

Il narcisista ha una grande dipendenza affettiva dalle partner con cui instaura una relazione, proprio perchè non tollera la solitudine che rappresenta lo stato temuto, in quanto vengono a mancare le conferme di cui ha tanto bisogno per sopravvivere al vuoto. Sentendo di godere di più diritti rispetto agli altri in quanto “esseri speciali”, i narcisisti tendono ad avere molte pretese nei rapporti di coppia e a porsi in una posizione di dominanza; i suoi bisogni sono sempre più importanti di quelli della partner, le sue richieste più legittime, le sue mancanze più comprensibili. E’ chiaro che questo ruolo all’interno della relazione spesso va a incastrarsi molto bene con una partner co-dipendente, tendente all’autosacrificio, empatica, disponibile a prendersi cura dell’altro più che di se stessa. In questo modo il narcisista può assicurarsi tutte le attenzioni del mondo senza dover a sua volta corrispondere. Infatti spesso le partner dei narcisisti sono donne autonome, che tendono a non esprimere i loro bisogni e a cavarsela da sole. E’ proprio quando la partner minaccia o lascia il narcisista che emerge la dipendenza affettiva del narcisista, infatti le reazioni sono spesso molto forti e molto diverse dal distacco e dall’indifferenza che in genere tende a mostrare, e preso dal terrore dell’abbandono, farà di tutto per riagganciare la partner. Nel tentativo di riprendere la relazione userà qualsiasi mezzo, che va dalle minacce psicologiche, agli attacchi verbali, alla violenza fisica, alle menzogne, cosa tipica di questi soggetti. All’interno della relazione tenderà a dominare, manipolare, incolpare, sedurre, minacciare l’abbandono in modo da garantirsi una posizione di potere e mantenere la partner in un ruolo di dipendenza e sottomissione. Uscire da una relazione con un narcisista non è affatto semplice perchè sono molto abili a riprendere la partner promettendo di cambiare, ritornando ad essere premurosi e attenti come nei primi tempi, cercando di compiacere la partner in tutte le sue richieste, ma purtroppo il cambiamento sarà solo transitorio.

 

Disturbo da insonnia: definizione e trattamento

Non si può parlare del disturbo da insonnia senza prima parlare del sonno e delle sue caratteristiche. Alexandre Dumas citava: “il sonno è una divinità capricciosa e proprio quando la si invoca, si fa aspettare”. In termini scientifici il sonno può essere definito come uno stato ricorrente e reversibile, in cui si viene a trovare l’organismo, che comporta una ridotta risposta agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno e adattamenti complessi e regolari della fisiologia di molti organi e apparati”. 

Il sonno si divide in: sonno NREM (Non-Rapid-Eye-Movement), suddiviso a sua volta in 4 stadi: Stadio 1: passaggio dalla veglia al sonno leggero (stato crepuscolare); Stadio 2: ‘sonno leggero’ . Inizio del sonno; Stadi 3 e 4: sonno profondo e sonno REM o paradosso (Rapid-Eye-Movement) caratterizzato da sogni vividi, elevata attività cerebrale, ma generale rilassamento muscolare. Questo stadio del sonno si verifica ciclicamente durante la notte, alternandosi con il sonno NREM ogni 90 minuti. L’ alternanza degli stadi di sonno non-REM e di sonno REM (ciclo del sonno) avviene, in condizioni normali, circa 4/5 volte nella notte. Ogni ciclo di sonno ha una durata di circa 90-100 minuti.  Le fasi di sonno REM durano circa 15 minuti. Un giovane adulto arriva al sonno REM più o meno 90 minuti dopo l’addormentamento.

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5; APA, 2013) inserisce il disturbo da insonnia tra i disturbi del sonno-veglia e lo definisce come un senso soggettivo di difficoltà ad addormentarsi, a mantenere il sonno o di cattiva qualità del sonno. L’American Academy of Sleep Medicine definisce l’insonnia primaria come la lamentela da parte del paziente d

i un sonno scarso o insoddisfacente. Ciò che emerge da tali definizioni è che l’insonnia è un disturbo soggettivo, ciò che conta è la percezione che il paziente ha della qualità del proprio sonno, al di là delle misure oggettive. Può essere caratterizzata da:

  • Difficoltà di addormentamento (insonnia iniziale/precoce)
  • Frequenti e prolungati risvegli notturni (insonnia di mantenimento)
  • Risveglio precoce al mattino (insonnia tardiva)
  • Da una combinazione di queste difficoltà (insonnia mista o generalizzata)

Per porre diagnosi devono essere presenti tutti e 3 i criteri:

  1. Quantità di tempo per l’addormentamento e di risveglio notturno uguale o superiore a 30 minuti;
  2. Frequenza uguale o maggiore a 3 notti a settimana;
  3. Durata del disturbo uguale o maggiore di 6 mesi.

In base alla durata, l’insonnia può essere suddivisa in (National Institute of Health, 1984):

  • Insonnia transito

    ria (dura solo alcuni giorni)

  • Insonnia a breve termine (dura da 1 a 3 settimane)
  • Insonnia persistente (dura più di 3 settimane)

L’insonnia può essere inoltre suddivisa in:

  • Situazionale
  • Cronica (è possibile parlare di insonnia cronica dopo 6 mesi secondo l’International Classification of Sleep Disorders)

Il tipo di insonnia può variare nel tempo: le difficoltà di addormentamento sono più tipiche dei primi episo

 

di d’insonnia, mentre i problemi di mantenimento del sonno sono più comuni nelle fasi avanzate del disturbo. L’insonnia è associata a stanchezza quotidiana, maggiore utilizzo dei servizi sanitari, auto-medicazioni tramite alcolici o farmaci, maggiore compromissione funzionale, maggiore assenteismo al lavoro, problemi di memoria e di concentrazione, diminuizione della piacevolezza delle relazioni interpersonali, aumento del rischio di gravi malattie mediche e di incidenti stradali e sul lavoro (APA, 2000).

Sono stati individuati dei fattori di vulnerabilità all’insonnia primaria:

  1. Iperattivazione fisiologica, cognitiva o emozionale: gli insonni rispetto ai buoni dormitori sono più attivati fisiologicamente non solo di notte, ma anche di giorno e presentano uno stile cognitivo caratterizzato da ossessioni, preoccupazioni, ipervigilanza e ansia;
  2. Comportamento di tipo A (Friedman e Rosenman, 1977): gli individui che manifestano un comportamento di tipo A sono caratterizzati da ostilità, competitività, senso di urgenza del tempo e riportano più frequentemente problemi ad addormentarsi e maggiori livelli di stress q

    uotidiano rispetto ai controlli (Hayes and Hicks, 1993);

  3. Familiarità: più del 75% di un campione di studenti con madri affette da problemi di sonno, mostravano difficoltà nell’addormentamento e nel mantenimento del sonno (Coren and Searleman, 1985).

In genere l’esordio dell’insonnia avviene in periodi di stress più o meno intensi e le modalità con cui un individuo interpreta i transitori problemi di sonno contribuiscono a cronicizzare o meno il disturbo. Se un individuo è in grado di collegare la natura transitoria del problema di sonno alla presenza di eventi stressanti è probabile che il sonno si normalizzi quando la situazione stressante viene superata. Se al contrario, un individuo concettualizza le momentanee difficoltà di sonno come indice di perdita di controllo sul proprio sonno e si preoccupa intensamente per le conseguenze del disturbo può diventare cronico. Le persone che soffrono d’insonnia, rispetto ai buoni dormitori, presentano inoltre aspettative irrealistiche riguardo alle necessità di sonno, convinzioni errate sulle caus

 

e, conseguenze e rimedi per l’insonnia.

La ricerca scientifica mostra che la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia (CBT-i) è un efficace trattamento non farmacologico che migliora la qualità del sonno, la latenza di addormentamento e l’efficienza del sonno. La CBT-i si propone di intervenire sui fattori di mantenimento (cognitivi e comportamentali) del disturbo attraverso l’utilizzo di diverse tecniche quali: la ristrutturazione cognitiva (modificare credenze disfunzionali sul sonno e l’insonnia), controllo dello stimolo (istruzioni comportamentali per rafforzare l’associazione tra il letto e il sonno), restrizione del sonno (istruzioni comportamentali per limitare il tempo trascorso a letto senza dormire), igiene del sonno (raccomandazioni generali per modificare le cattive abitudini che disturbano il sonno) e tecniche di rilassamento e immaginative.

 

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO DA RELAZIONE: QUANDO LA RELAZIONE DIVENTA UN’OSSESSIONE

“I dubbi dell’amore” cantava Fiorella Mannoia in una sua celebre canzone, dubbi che caratterizzano i pazienti che soffrono di Disturbo Ossessivo-Compulsivo da Relazione o Relationship Obsessive-Compulsive Disorder (ROCD) nella dicitura inglese. Tale disturbo presenta aspetti di sovrapposizione con le altre tipologia di disturbo ossessivo e altri specifici. Le ossessioni nel DOC da relazione sono dubbi ricorrenti e vissuti con profonda ansia e sofferenza sulla relazione, sui sentimenti provati nei confronti del partner e/o sui difetti percepiti sulle caratteristiche fisiche, mentali e/o morali del partner. Il paziente si chiede continuamente se è davvero innamorato/a del partner, se la relazione è quella giusta o se sia meglio chiuderla, se chiudendo la relazione la rimpiangerà poi per tutta la vita e così via. Esistono due tipologie che possono sovrapporsi nella stessa persona: in un caso le ossessioni sono centrate sulla relazione e sui sentimenti provati, (relationship-centered) nell’altro sulle caratteristiche del partner (partner-focused). Le ossessioni possono assumere la forma di pensieri del tipo ‘E’ la persona giusta per me?‘, di immagini sul partner o possono anche assumere la forma di impulsi (ad esempio, l’impulso di lasciare il partner) e sono fonte di ansia che il paziente cerca di alleviare ricorrendo a compulsioni come monitoraggio dei sentimenti e dei pensieri sul partner e sulla relazione ricorrendo non all’ascolto dei propri sentimenti ma a criteri esterni (es. quantità di tempo trascorso con il partner e di quello trascorso con altre persone come misura di amore), confronti con altri potenziali partner, ricerca di rassicurazioni, neutralizzazioni (tentativo di annullare le ossessioni riportando alla mente ricordi o immagini o pensieri positivi del partner e della relazione), evitamenti di tutte le situazioni che attivano le ossessioni (coppie considerate felici, film d’amore, e così via). L’effetto delle compulsioni è quello di alleviare l’ansia solo nel breve periodo e di mantenere e rafforzare il meccanismo ossessivo nel lungo periodo. Il soggetto cerca risposte ai suoi dubbi attraverso tentativi di soluzione (compulsioni) che non solo sono fallimentari ma addirittura peggiorano la sintomatologia aumentando i dubbi, le tensioni relazionali con il partner e gli evitamenti generali che finiscono per ridurre la qualità di vita. ‘Lo/la amo?’, ‘Sto bene con lui/lei?’, ‘Lui/lei mi ama davvero?’, ‘E’ la relazione giusta per me?‘ sono le classiche domande. Spesso i sintomi insorgono in concomitanza con la richiesta di un maggior impegno relazionale (matrimonio, convivenza, scelta di avere un figlio) che il soggetto ossessivo vive con un senso ipertrofico di responsabilità e bisogno assoluto di certezze che lo portano inevitabilmente a restare imprigionato nei dubbi senza lasciarsi veramente andare nella relazione e quindi disimpegnandosi sempre più e interpretando questo aspetto come segno della non adeguatezza della relazione piuttosto che effetto delle ossessioni.

La maggior parte dei pazienti sperimenta sintomi ossessivo-compulsivi da relazione durante la relazione stessa, ma in alcuni casi i sintomi si presentano dopo la fine della relazione e sono centrati sulla preoccupazione costante di aver perso la persona giusta. Alla base del disturbo sono presenti credenze amorose estreme (“se amassi davvero il mio partner dovrei pensarlo sempre”) e catastrofizzazioni (“non sarò mai felice se resto in una relazione di cui non sono sicura”, “se lascio la persona giusta, me ne pentirò per tutta la vita”).

Da quello che indicano le ricerche scientifiche uno stile di attaccamento insicuro, una maggiore vulnerabilità nel dominio relazionale e un’elevata conflittualità nella famiglia di origine sembrano essere fattori predisponenti il disturbo.

Terapia del DOC da relazione

 La terapia cognitivo-comportamentale è il trattamento di elezione per questo disturbo. E’ importante fare una buona psicoeducazione e identificare e mettere in discussione pensieri e credenze disfunzionali. Come in altri disturbi ossessivi è necessario affrontare aspetti centrali come il perfezionismo, l’eccessiva importanza attribuita ai pensieri e l’intolleranza dell’incertezza. Esperimenti ed esposizioni a situazioni evitate (es.film d’amore) o attraverso scritti riguardo gli scenari temuti (es. matrimonio) vengono proposti nel corso del trattamento. 


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