Dott.ssa Laura Marchi

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

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Terapia cognitivo-comportamentale online per i disturbi alimentari: tra nuove sfide e importanti opportunità

Il momento che stiamo vivendo caratterizzato da ansie e paure legate al contagio da Covid-19, isolamento sociale, distanziamento fisico dagli altri, mettono a dura prova il benessere psicologico di tutti noi. Per molti lavoratori i cambiamenti hanno riguardato anche le modalità di lavoro, che si sono appoggiate prevalentemente allo smart working, termine ormai di uso comune per indicare l’utilizzo agile del lavoro, da casa, grazie all’ausilio di devices tecnologici. Questo passaggio dalla modalità face-to-face a quella online ha riguardato anche molte coppie terapeuta-paziente e questo articolo ha proprio lo scopo di riportare delle riflessioni in merito alle nuove sfide ed opportunità che riguardano il trattamento cognitivo-comportamentale  dei disturbi alimentari (CBT-ED) offerto tramite piattaforme online, che per quello che sappiamo oggi può essere un’alternativa efficace e sicuramente consigliata rispetto all’interruzione del trattamento fino a data da destinarsi che porta con sè molti più rischi. Tali riflessioni  recenti provengono da clinici e ricercatori di fama mondiale che si occupano da anni del trattamento di disturbi alimentari (Murphy, Calugi, Cooper, Dalle Grave, 2020).

Di fronte alla pandemia da covid-19 le persone che soffrono di un disturbo alimentare potrebbero sperimentare una ricaduta o un aggravamento dei sintomi, in chi era predisposto al disturbo questo momento di alto stress potrebbe rappresentare un fattore scatenante. Le emozioni di noia, isolamento, ansia, rabbia, la riduzione dei contatti sociali potrebbe essere gestito con un aumento del controllo alimentare (aumento delle regole dietetiche) o del discontrollo e abbuffate con i relativi comportamenti di compenso (vomito, uso di lassativi/diuretici). La sensazione di non poter controllare l’ambiente esterno aumenta il vissuto di impotenza, ansia e paura che porta spesso queste pazienti ad aumentare il controllo sulla loro alimentazione. Ci sono anche casi, però, e questa è la grande opportunità che la pandemia ha portato per qualcuno, in cui problemi più grandi come quelli legati al rischio di contagio, al numero alto di morti, ha ridimensionato l’importanza attribuita al peso, alla forma del corpo e all’alimentazione riducendo di conseguenza la sintomatologia.

Per qualche paziente può essere difficile affrontare l’impossibilità di poter svolgere attività fisica intensa al di fuori dell’ambiente domestico (sempre che ci sia lo spazio per praticarla) e in questo la terapia cognitivo-comportamentale può essere di aiuto anche da remoto, per aiutare a tollerare questi limiti abituandosi a un esercizio fisico più salutare e, dove possibile, ricreativo, sfruttando anche la stessa tecnologia digitale che offre molti corsi di fitness online o in compagnia con un componente della famiglia (es. fratelli). Per coloro che seguono una dieta restrittiva la difficoltà attualmente potrebbe essere quella di non riuscire a trovare tutti gli alimenti da dieta a cui sono abituati. Questa può essere un’opportunità per fare delle scelte alimentari più flessibili (uno degli obiettivi più importanti del trattamento) con la strategia dello scambio dei gruppi alimentari, abituandosi a sostituire un alimento con un altro appartenente allo stesso gruppo (carboidrati, proteine, grassi) che apporta più o meno la stessa energia. Continuare a seguire la pianificazione alimentare può essere più facile in questo periodo, soprattutto per quelle pazienti che lamentano in condizioni di routine quotidiana, di essere troppo impegnate per prestarvi la dovuta attenzione. Questo periodo di rallentamento può essere una grande opportunità. Diversamente, qualcun altro, potrebbe invece, a causa della maggiore permanenza a casa e di spese più abbondanti e meno frequenti, incorrere con più facilità nelle abbuffate avendo sempre a disposizione il cibo e meno possibilità di distrazione date dalle attività alternative, dalle relazioni sociali, dagli impegni lavorativi. Questi aspetti possono essere trattati allo stesso modo delle sedute in presenza anche attraverso la piattaforma online, dove è possibili fare problem solving e trovare creativamente insieme delle soluzioni adeguate.

Per quanto riguarda il lavoro sull’immagine corporea risulta possibile continuarlo da remoto, con alcune difficoltà che possono riguardare il confronto del proprio corpo con altri che potrebbe non essere possibile in vivo, ma che può focalizzarsi sui confronti con modelli presenti sui social, peraltro in aumento in questo periodo di quarantena e, come sappiamo, rischiosi perchè poco realistici e affidabili, ma importanti fattori di mantenimento di insoddisfazione corporea e di preoccupazione per il peso. La gestione del peso, così come i compiti tra una seduta e l’altra, possono continuare in modo collaborativo affidandoci gli screen shot delle schede di auto-monitoraggio o del grafico del peso, utilizzando mail, e così via. Per alcuni pazienti, soprattutto gli adolescenti, la modalità online è preferita a quella in presenza, oltre a essere più flessibile e dare la possibilità di svolgersi nel proprio ambiente (es. la propria camera), cosa che può essere anche più rassicurante.

Per quanto riguarda la condivisione costante e ravvicinata degli spazi con i propri familiari, questo potrebbe rappresentare per qualcuno un aumento dei conflitti, per altri invece potrebbe essere l’occasione per una nuova vicinanza e connessione positiva anche per quanto riguarda la gestione dei pasti.

In sintesi, se la terapia cognitivo-comportamentale migliorata per i disturbi alimentari (CBT-E) è indicata dalle più recenti linee guida del NICE (National Institute for Health and Care and Clinical Excellence, 2017) come il trattamento più efficace per questi disturbi (anoressia, bulimia e disturbo d’alimentazione incontrollata), possiamo continuare a ritenere altrettanto efficace tale trattamento anche in un setting online, così come ci dicono studi precedenti (Mitchell et al., 2008).

 

This year I resolve myself to ignore my arch nemesis in culinary choices and pay much more attention to that angelic voice helping me dine sensibly.

Digiuno intermittente. Funziona davvero?

Il digiuno intermittente (intermitted fasting) è stato proposto da alcuni clinici e ricercatori negli ultimi anni come una modalità alimentare che apporta benefici a livello di sistema immunitario, regolazione arteriosa, di resistenza insulinica, di livelli di trigliceridi e colesterolo, di funzioni cognitive e così via (de Caba & Mattson, 2019). Ci sono diversi modi in cui si può praticare, per esempio mangiando nella prima parte della giornata fino al pranzo e poi digiunare nelle ore successive fino alla colazione del giorno dopo (circa 18 ore di digiuno e un periodo di alimentazione di 6 ore).

Gli studi che sostengono i benefici del digiuno intermittente nell’obesità, asma, malattie cardiovascolari, cancro, ecc hanno diversi limiti: sono condotti nella gran parte dei casi su animali (ratti), tendono a valutare gli effetti della dieta nel breve termine (settimane o qualche mese) non a lungo termine e hanno diversi limiti metodologici. L’unico studio che ha confrontato gli effetti sul peso e sul rischio cardiovascolare di un regime di digiuno intermittente e una restrizione dietetica continuativa (1000 Kcal per le donne e 1200 Kcal per gli uomini) in persone con sovrappeso/obesità non ha trovato differenze significative sia a 12 che a 24 mesi (Headland, Clifton, & Keogh, 2019, 2020). I risultati di questo studio confermano le conclusioni di una revisione metanalitica sistematica di 9 studi di durata minima di 6 mesi, in cui non è stata osservata alcuna differenza nella perdita di peso tra restrizione calorica continuativa e digiuno intermittente (Headland, Clifton, Carter, & Keogh, 2016).

Sebbene non ci siano differenze significative in termini di perdita di peso e miglioramento dei fattori di rischio cardiovascolari tra digiuno intermittente e dieta moderatamente ipocalorica continuativa, alcuni studi hanno dimostrato che il digiuno, ovvero passare molte ore della giornata senza mangiare, e la restrizione dietetica rigida e estrema aumentano il rischio di episodi di abbuffate e l’alimentazione in eccesso e la preoccupazione per il cibo. La ricerca dimostra che le diete fortemente ipocaloriche favoriscono l’aumento di peso a lungo termine negli individui normopeso (Lowe, Doshi, Katterman, & Feig, 2013) e in quelli predisposti è un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione di gravità clinica (Schaumberg & Anderson, 2016; Stice, 2016). Inoltre, gli studi effettuati sul disturbo da binge-eating (BED) hanno confermato che l’assunzione di almeno 3 pasti al giorno è associata a meno episodi di abbuffata rispetto a una minore frequenza di pasti assunti (Masheb, Grilo, & White, 2011). Infine, il consumo regolare della colazione, del pranzo e della cena è significativamente correlato con un indice di massa corporea più basso nelle persone con obesità e BED (Masheb & Grilo, 2006).

La prova più importante a favore  dell’adozione di un’alimentazione regolare (3+2+0) deriva però dai risultati degli studi che hanno valutato gli effetti della terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E) per i disturbi dell’alimentazione (Dalle Grave & Calugi, 2020; Fairburn, 2008). Il razionale che sta dietro questa terapia è che l’alimentazione ritardata e le regole alimentari rigide ed estreme siano i più importanti fattori di mantenimento delle abbuffate, pertanto per ridurne la loro frequenza, è necessario non tenere lo stomaco vuoto per più di 4 ore nel suggerire al paziente di pianificare in anticipo 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena) e due spuntini (metà mattina e metà pomeriggio) e il non mangiare tra gli intervalli: una procedura anche chiamata 3+2+0. Gli studi hanno dimostrato che la procedura dell’Alimentazione Regolare produce una rapida e significativa riduzione degli episodi di abbuffata solo dopo 4 settimane nella maggior parte dei pazienti con bulimia nervosa (Dalle Grave, Calugi, Sartirana, & Fairburn, 2015; Fairburn et al., 2009) e BED (Grilo & Masheb, 2005).

Per concludere, dato che il digiuno intermittente per quello che ad oggi ci dicono le evidenze scientifiche, non apporta benefici aggiuntivi in termini di perdita di peso e di rischio cardiovascolare rispetto a una dieta moderatamente restrittiva, ma aumenta la preoccupazione per il cibo e il rischio di abbuffate quindi non sembra opportuno proporlo come pratica alimentare. Sembra essere molto più appropriato un regime alimentare salutare, in particolare mediterraneo, ben distribuito in 3 pasti principali più due spuntini; in questo modo si previene il potenziale sviluppo di disturbi alimentari o pattern alimentari disregolati.

Regolare il sistema nervoso con la mindfulness e le risorse somatiche

Quando si parla di psicoterapia siamo abituati a pensare a un rapporto tra paziente e psicoterapeuta che avviene in un determinato spazio fisico e con determinate regole legate al numero, al costo e alla durata delle sedute che si svolge essenzialmente grazie all’uso di interventi verbali, di riflessioni che aprono al cambiamento e alla riduzione dei sintomi. Senza dubbio il lavoro cognitivo, dove per cognitivo intendiamo tutto ciò che riguarda la mente razionale, la logica è una parte importante degli interventi psicoterapici cosiddetti top-down, ma soprattutto negli ultimi anni, a partire dall’ambito della psicotraumatologia, si stanno diffondendo le nuove terapie bottom-up, dove il processo terapeutico viene sostituito perlopiù da un allenamento a riconoscere l’attività mentale in quanto tale. L’attenzione si sposta quindi dai contenuti ai processi mentali, dagli interventi concettuali a quelli meditativi (mindfulness) ed esperienziali. Ciò non vuol dire che nel corso di una psicoterapia non cambino le convinzioni negative o irrazionali, ma il cambiamento non avviene solo per opera di un intervento specificatamente rivolto a questo da parte del terapeuta, quanto piuttosto a opera di una più o meno spontanea trasformazione che accompagna l’aumento di consapevolezza della propria esperienza soggettiva. Lo noti, stia su questo, senta cosa accade… sono gli input che i pazienti ricevono mentre emergono libere associazioni, immagini, pensieri, ricordi, collegamenti, sensazioni corporee, durante una seduta. Il tutto all’interno dell’atteggiamento proposto dalla mindfulness di osservare, accettare, semplicemente notare la propria attività mentale.

QAll’interno di questo quadro concettuale strategie di regolazione del sistema nervoso autonomo diventano parte integrante della psicoterapia, sia essa cognitivo-comportamentale, basata sull’ EMDR, o di approccio psicodinamico. Il sistema nervoso autonomo regola quegli aspetti nel corpo che si verificano automaticamente, come la respirazione, la pressione sanguigna, la digestione, il battito cardiaco, e così via. E’ composto da due ramificazioni: il sistema nervoso simpatico (SNS), il nostro sistema di risposta allo stress, o sistema di attacco o fuga, che viene attivato quando proviamo stress e provoca una iperattivazione del nostro organismo aumentando la pressione sanguigna, il ritmo del respiro, il battito cardiaco, rallentando la digestione, rilassando la vescica, aumentando il livello di energia utile per gestire efficacemente la situazione di pericolo. L’altra ramificazione è costituita dal sistema nervoso parasimpatico (SNP) che è l’esatto opposto. Una volta che l’evento stressante è terminato, riporta alla normalità le funzioni precedentemente allertate dal SNS, ponendoci in uno stato di riposo e rilassamento. Entrambe le ramificazioni vengono sempre coinvolte, ma di solito una è più attiva, l’altra soppressa, quando un sistema è attivo, l’altro è inattivo e viceversa. Quando i due sistemi lavorano in armonia si alternano in modo equilibrato, ma a volte possono esserci disfunzioni del sistema nervoso autonomo, come nel caso più frequente, in cui il SNS rimane dominante per la maggior parte del tempo e il SNP si attiva raramente. Quando questo accade il corpo rimane in uno stato di lotta o fuga tutto il tempo, provocando danni cronici alla salute. Altre volte il SNA è totalmente disregolato e attiva entrambi i sistemi, dall’ansia estrema al collasso. Partendo da questo principio, ovvero la necessità di una regolazione armonica del SNA per mantenere un buon stato di salute e funzionamento generale, nelle terapie corporee si insegnano strategie per imparare a riconoscere e a regolare il livello di attivazione dell’organismo (autoregolazione) in modo da rimanere dentro la cosiddetta finestra di tolleranza, dove possiamo percepire un equilibrio interno evitando i due estremi dell’iper-attivazione (stato di allerta) o di ipo-attivazione (depressione, apatia, rallentamento, collasso).

L’autoregolazione è la nostra capacità di controllare come ci sentiamo e agiamo. Un’autoregolazione riuscita ci aiuta in molti modi. Per esempio, ci può aiutare a:

  • Mantenere l’attenzione su un compito
  • Rispondere senza difficoltà alle sensazioni
  • Persistere di fronte alla difficoltà
  • Mantenere un sentimento di appagamento
  • Controllare le emozioni
  • Far corrispondere il livello di energia alla situazione
  • Promuovere comportamenti sani (mangiare quando si ha fame, smettere quando si è sazi, ecc).

Quindi nel corso della terapia il paziente imparerà a riconoscere e percepire come il disagio per una situazione specifica si manifesta nel corpo. Questo è il primo step. Poi ci sono diversi interventi centrati sulle risorse somatiche (segnali che provengono dal nostro corpo) per imparare a auto-regolarsi; vediamo quali:

  • Grounding: radicare il corpo nel qui e ora, attraverso la percezione della schiena, del bacino e dei piedi sul pavimento, permette di percepire il supporto che viene dalla sensazione di essere “con i piedi per terra” e favorisce una maggiore presenza.
  • Orientamento: radicare il corpo nel qui e ora, riprendendo contatto con l’ambiente intorno a noi, permette di portare l’attenzione dalle sollecitazioni interne sopraffacenti all’esterno, ripristinando il senso dell’orientamento. Sono qui, non sono altrove.
  • Centratura: radicare il corpo nel qui e ora, attraverso la percezione del proprio centro (è un’area appena sotto l’ombelico), permette di canalizzare l’energia nel bacino, riducendo la dispersione dell’attivazione in altre parti del corpo e sperimentare una maggiore presenza.
  • Respiro: radicare il corpo nel qui e ora, attraverso la percezione delle proprie modalità respiratorie, della fluidità, dell’espansione o della sensazione che ci sia poco “spazio” interno per respirare, si favorisce la possibilità di modificare laddove presente ad esempio una sensazione di costrizione, favorisce la possibilità di aumentare la capacità respiratoria, aumentando la percezione dei polmoni, del torace e quindi di avere “spazio” per poter respirare.
  • Auto-contenimento: radicare il corpo nel qui e ora, attraverso l’effetto calmante che ha il contatto corporeo, l’appoggio di una mano sulla parte che si sente eccessivamente attivata, il “prestare attenzione” con un atteggiamento accuditivo all’attivazione, favorisce la capacità di contenere o calmare uno stato di attivazione elevato.
  • Auto-appoggio: radicare il corpo nel qui e ora, attraverso l’autostimolazione tattile si favorisce il collegamento tra due distretti corporei che sono funzionalmente scissi tra loro. Se per esempio la scissione avviene tra il torace e la parte bassa dell’addome, l’auto-appoggio di una mano favorisce la percezione dei due distretti corporei, facilitandone il processo di coesione.
  • Allineamento: radicare il corpo nel qui e ora, attraverso l’allineamento e la percezione della verticalità della colonna, si favorisce il raddrizzamento della schiena e un cambiamento posturale che può permettere di sentirsi più stabili, più presenti a se stessi, banalmente perchè si è “dritti” davanti a un evento da affrontare.
  • Postura: alcune posture sono difensive, protettive, con l’ausilio delle risorse somatiche aiutiamo i pazienti a portare a compimento le azioni incomplete, elaborando il trauma nel corpo.

Imparare ad autoregolarsi richiede tempo e allenamento come ogni nuovo apprendimento; il terapeuta in questo caso si rivela una guida, un modello e ha una funzione di contenimento ulteriore di fronte ai temi dolorosi che emergono nel corso del lavoro insieme. Un approccio di questo tipo può essere di aiuto in molti casi, non solo per coloro che hanno vissuti traumatici.

Stile di attaccamento, regolazione delle emozioni e dipendenza dai Social Network

L’uso dei social network, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione, è attualmente ampiamente diffuso. Dalla nascita di Facebook in Italia nel 2008 ad oggi si sono moltiplicate le piattaforme digitali da utilizzare per chattare, video-chiamare, entrare in relazione con gli altri. Ora più che mai l’emergenza sanitaria in corso e le misure di quarantena e distanziamento sociale imposte dal governo hanno incoraggiato l’uso di Social Network (SN) come risorse utili, alternative ai rapporti vis a vis, al momento impossibili. Sebbene siano chiari soprattutto in questa fase i benefici dei social network per ampliare e mantenere le relazioni sociali, favorire il rilassamento e superare i limiti imposte dalle distanze fisiche, il loro uso eccessivo e improprio, può avere un effetto dannoso sulla salute, fino a inquadrare una vera e propria dipendenza. L’uso compulsivo dei social network porta a livelli più alti di ansia, invidia e depressione (Appel et al., 2016; Liu & Ma, 2018; Keles et al., 2019). La dipendenza o addiction nel linguaggio inglese da social network può essere definita come il fallimento del controllo sull’uso dei SN nonostante le evidenti conseguenze negative (Kuss & Griffiths, 2017).

Uno studio recente (Liu & Ma, 2019) ha indagato il ruolo dello stile di attaccamento e delle difficoltà emozionali come fattori coinvolti nello sviluppo di una dipendenza da SN. Lo stile di attaccamento si forma nelle prime interazioni tra il bambino e i suoi caregivers primari (spesso i genitori). Questi primi legami emozionali portano alla formazione di modelli operativi interni, ovvero rappresentazioni di sè e delle relazioni. Questi modelli tendono ad essere relativamente stabili nel tempo e quindi formano le basi per le relazioni romantiche successive. Se l’adulto che si prende cura del bambino è affidabile, responsivo, disponibile, il bambino svilupperà un attaccamento sicuro, se invece il genitore è indisponibile, imprevedibile nella sua capacità di rispondere ai bisogni del bambino, porterà allo sviluppo di modelli interni negativi e a un attaccamento insicuro-ambivalente o evitante. Nel primo caso il bambino tenderà ad amplificare le sue reazioni emotive per ottenere prossimità e ascolto da parte del genitore, nel secondo caso il bambino imparerà a negare i suoi bisogni relazionali e affettivi e a cavarsela da solo.

Alcuni studi hanno mostrato un’associazione positiva tra attaccamento insicuro-ambivalente e dipendenza e un’associazione negativa tra attaccamento evitante e dipendenza. Questi risultati possono essere compresi alla luce del fatto che la funzione primaria del social network è quella di favorire e mantenere i legami sociali e ottenere conforto e supporto sociale. La teoria dell’attaccamento è stata concettualizzata come teoria della regolazione emozionale (Shore & Shore, 2008). Con regolazione emozionale si intendono una serie di abilità che consentono di percepire, mantenere o modificare le proprie esperienze emozionali rispetto alla loro frequenza, intensità o durata. Numerosi studi hanno trovato che attaccamento insicuro e disregolazione emotiva sono positivamente correlate e queste due variabili  inoltre sembrano favorire problemi affettivi e la la messa in atto di comportamenti maladattivi, come l’uso problematico di internet (Estevez et al., 2018), disturbi alimentari (Norrish et al., 2019), ansia (Marques et al., 2018) e depressione (Owens et al., 2018). Difficoltà nella regolazione affettiva sono in particolare considerati fattori di rischio sia per l’abuso di sostanze sia per addiction comportamentali (da smartphone, gioco d’azzardo, ecc). Uno studio recente mostra che una regolazione emotiva disfunzionale sembra predire un uso problematico di Facebook (Marino et al., 2019).

Uno studio recente ha indagato la relazione tra stile di attaccamento, regolazione affettiva e uso problematico dei social network su un campione di 463 studenti in Cina (Liu & Ma, 2019). I risultati dello studio mostrano che lo stile di attaccamento ansioso-ambivalente predice in modo positivo la dipendenza da internet mentre uno stile evitante non lo predice. La disregolazione emotiva media parzialmente la relazione tra attaccamento ansioso e dipendenza da social network, ma non media quella tra attaccamento evitante e dipendenza da social network. Questo risultato significa che gli individui con alti livelli di attaccamento ansioso tendono ad avere un più forte bisogno di appartenenza, feedback e conforto, bisogni che possono essere soddisfatti in qualche grado dalla dipendenza da social network. Questi individui è più probabile che spendano più tempo sui social network e lo usino quando percepiscono stati emotivi negativi che, a causa di una difficoltà a regolare le emozioni in modo funzionale, utilizzeranno più facilmente internet in modo compulsivo con lo scopo di alterare l’umore, cosa che invece porterà allo sviluppo di una dipendenza e quindi a un peggioramento globale del benessere.

Questi risultati sono interessanti alla luce di quello che sta accadendo in questo momento dove l’uso dei social media è molto più alto a causa della quarantena. Se accanto a questo utile mezzo di regolazione emotiva e di contatto sociale si affiancano altre strategie, gli individui tenderanno a mantenere un buon equilibrio emotivo e un utilizzo limitato nel tempo, ma se questo comportamento impatta in individui insicuri con difficoltà a regolare emozioni, emozioni che con molta probabilità tendono ad essere negative in un momento come questo di incertezza, paura, solitudine, depressione, l’esito potrebbe essere quello di una dipendenza vera e propria, dove non si può più fare a meno della piattaforma digitale per regolare i propri stati d’animo che, però in questo modo, peggioreranno sempre più.

Articoli scientifici appena pubblicati sugli aspetti psicologici e le misure di intervento per il Covid-19. Cliccate sui link sottostanti per accedere alla rivista e scaricare articoli completi

Psychological distress among healthcare professionals involved in the Covid-19 emergency: vulnerability and resilience factors

Psychological intervention measures during the COVID-19 pandemic

Psychological resources against the traumatic experience of COVID-19

La coppia e la sessualità al tempo del Coronavirus

Il momento che stiamo vivendo è senza dubbio difficile da diversi punti di vista: sanitario, economico, psicologico e sociale. Ci sentiamo vulnerabili e impotenti di fronte a una pandemia che ha provocato migliaia di morti nel nostro paese e che ha modificato profondamente la vita di ciascuno di noi creando una netta spaccatura tra un prima Covid-19 e un dopo che è ancora molto incerto e privo di sicurezza. Un aspetto che con questo articolo voglio trattare è quello della coppia perchè, se per alcune coppie, questo momento rappresenta un nuovo e positivo riavvicinamento, per altre comporta un aumento di conflittualità interna e di disagio con evidenti conseguenze anche sulla sessualità.

Come ci ricorda bene Shopenhauer nella sua celebre metafora dei porcospini, una coppia funziona bene quando riesce a trovare un sano equilibrio tra le naturali esigenze di vicinanza/intimità e di autonomia; in questo momento il rischio maggiore del disagio di coppia è legato spesso ad un eccesso di vicinanza che vede gli individui a stretto contatto frustrando quel bisogno sano di avere uno spazio personale, non solo fisico ma soprattutto psicologico. Le realtà sono molto diverse le une dalle alte; è evidente che avere una casa sufficientemente grande da consentire a ciascuno di avere un proprio angolo fisico è diverso da avere un piccolo bilocale da condividere interamente con un’altra persona e magari un figlio. Mai come in questo momento è importante saper gestire al meglio il rapporto con l’altro riconoscendo a se stessi e all’altro il bisogno di un’autonomia che, se prima era garantita dal lavoro fuori casa, dagli amici, dallo sport, oggi deve essere ricreato all’interno della propria abitazione. Le discussioni ci saranno, ma è importante saperle gestire in modo assertivo, ricordandosi di comunicare all’altro sempre in termini di “Io avrei bisogno di…..io quando fai così mi arrabbio perchè…” evitando espressioni del tipo: “Tu fai, tu dici sempre, tu sei”… perchè questo tipo di comunicazione orientata alla critica e al giudizio dell’altro mette l’altro sulla difensiva e apre il conflitto e il ritiro dalla relazione, che in un momento come questo, può avere conseguenze molto negative, data la maggiore vulnerabilità di ciascuno di noi. Cerchiamo per quanto possibile di evitare quella famosa “sindrome pedagogica”, più tipica delle donne, in cui ci si pone come le esperte di turno (es. “questa cosa va fatta in questo modo, non si fa così”) perchè questo apre il conflitto e anche la sindrome dell’indovino (es. “secondo me tu fai così perchè pensi questo”). Cerchiamo di avere il coraggio di prendere il proprio spazio senza ferire l’altro con attacchi ingiustificati. I propri bisogni vanno dichiarati perchè sono legittimi e essenziali per la soddisfazione di coppia. E’ molto importante usare la nostra intelligenza emotiva, quindi la capacità di calmarsi, di liberarsi dall’ansia, dalla tristezza o dall’irritabilità, tutte emozioni naturali in questo clima emergenziale, per riprendersi rapidamente dai conflitti e non creare pericolose escalation.

Vestiamoci la mattina come se dovessimo uscire, manteniamo la cura di sè, cerchiamo di avere attenzione al corpo, questo permette di pensarci come attivi e positivi. Ci sono diverse coppie che in questa realtà vivono la difficoltà dello stare insieme, pensiamo alle coppie che vivevano realtà laterali (storie parallele) che spesso hanno protetto la relazione centrale (es. il matrimonio) e che, in questo momento, sono in pausa. Le coppie appena nate, non conviventi, che vivono la distanza fisica, quelle adolescenziali, quelle che per poter stare insieme hanno scelto di iniziare subito una convivenza magari in un tempo molto precoce rispetto alla nascita della relazione che potrebbero far fatica ad adattarsi. Poi ci sono le realtà più drammatiche, i casi di violenza intra-familiare, che in questa fase può esacerbarsi con la più alta probabilità che anche i figli ne siano costantemente esposti.

Non ci sono ricette preconfezionate per le coppie, perchè ogni coppia ha una sua danza che procede in sincronia e allora tutto va bene o può perdere il ritmo comune e diventare fonte di insoddisfazione e sofferenza. In questo momento la danza è messa in crisi da un cambio improvviso e inatteso delle normali routine, quelle che danno una certa sicurezza e prevedibilità e che fondano un equilibrio di coppia. è importante quindi in questa fase se volete salvare la vostra coppia evitare accuse, discussioni troppo accese, silenzi irritati, molto più utile è invece quello di legittimare e esprimere i propri bisogni, spazi, necessità cercando il modo di rispettare gli stessi anche nel partner.

 

 

L’ EMDR nel primo soccorso psicologico al tempo del Covid-19

L’ EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è un approccio terapeutico evidence based raccomandato dall’OMS, per il trattamento del trauma e dello stress traumatico. Si tratta di una metodologia che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destra-sinistra, per trattare i disturbi legati a esperienze traumatiche. Nel 2018, l’Associazione EMDR Italia è stata inserita nell’elenco delle Società Scientifiche delle professioni sanitarie, riconosciute dal Ministero della Salute (ai sensi del dm 2 agosto 2017 – Legge Gelli).

In un momento come questo molte certezze sono venute meno e il senso di vulnerabilità cresce. Le persone hanno paura, tutti siamo potenzialmente contagiabili e tutti potremmo contagiare altre persone, nessuno è immune perchè non esiste un vaccino o una cura specifica contro il coronavirus. Il nostro senso di sicurezza è stato alterato in modo rapido e improvviso, come avviene sempre nei casi di emergenza. La paura di morire cresce. Insieme a questo, la risposta emotiva delle persone può essere caratterizzata dalla rabbia che, per qualcuno, è la risposta migliore, sebbene poco funzionale, in un clima in cui non abbiamo controllo su nulla e sentiamo di aver perso la possibilità di gestire la propria vita in autonomia (non sappiamo quando finirà la quarantena, non possiamo progettare il futuro, ci sentiamo in balia degli eventi) La rabbia verso qualcuno considerato responsabile/capro espiatorio ci illude di recuperare almeno un pò di controllo e una spiegazione a ciò che appare privo di senso.  Un’altro tema che emerge è quello della responsabilità/colpa che per qualcuno è fonte di grande sofferenza, pensiamo a coloro che sono risultate positive al Covid-19 e hanno infettato i propri cari. Tutte queste risposte sono risposte normali di fronte a una situazione anormale, che la nostra mente fa fatica a sopportare da un punto di vista psicologica.

In modo particolare, in questa emergenza sono gli operatori sanitari a vivere in prima linea uno stress che può diventare post traumatico se non vengono presi seri provvedimenti in loro aiuto. Lavorano in un costante stato di allarme legato alla paura e al maggior rischio effettivo di contagiarsi, i turni massacranti a cui sono sottoposti impediscono loro di decomprimere lo stress attraverso pause e riposi tra un turno lavorativo e l’altro, così vitali per la salute psichica oltre che fisica. Per non parlare poi del rischio di traumatizzazione vicaria, la sintomatologia post-traumatica che insorge come conseguenza della relazione di aiuto di persone che soffrono, che vivono il trauma della terapia intensiva e che, in diversi casi, muoiono in solitudine. Agli operatori sanitari spetta la gestione dei familiari che non possono vedere i loro cari malati, a loro spetta la comunicazione della morte o dei cambiamenti nelle condizioni di salute, così repentine. Si sentono impotenti, nonostante i grandi sforzi, le morti sono numerose. Tutto questo li espone a un livello di stress elevato che, se entro certi limiti, è assolutamente funzionale al lavoro, non è questo il momento per loro di smobilitare emozioni dolorosi, questo è il momento dell’azione, devono adoperarsi per gli altri. Ma un punto importante è che per poter lavorare al meglio è necessario dare loro strumenti per decomprimere, ovvero imparare ad abbassare anche se di poco, il livello di attivazione dell’organismo quando supera la finestra di tolleranza, quella zona entro la quale possiamo esseri certi di funzionare al meglio.

Per questo esistono diversi strumenti di facile applicazione, brevi che derivano dalla grande esperienza dell’Associazione EMDR in ambito emergenziale e psico-traumatologico proprio per imparare a riconoscere e abbassare il livello di stress negativo, cioè quello che danneggia la salute.

Stress da quarantena: quando finirà? Cosa ci può aiutare?

La quarantena, misura imposta dal governo per fronteggiare la pandemia del Covid-19, è una misura che, sebbene necessaria per limitare la diffusione del contagio, ha importanti conseguenze psicologiche sulle persone e l’intera comunità, dal momento che comporta una forte limitazione della libertà personale e dei contatti sociali, entrambi bisogni fondamentali dell’essere umano e elementi imprescindibili per il mantenimento del benessere psicologico.  Al momento non sono presenti in letteratura scientifica dati epidemiologici precisi sulla prevalenza dei sintomi psicologici secondari alla quarantena, pertanto questa breve articolo farà riferimento a studi scientifici che hanno indagato le reazioni psicologiche di persone che hanno vissuto emergenze sanitarie e misure di contenimento simili in passato (es. SARS). Secondo tali studi, la maggior parte delle persone messe in quarantena può sviluppare un disagio significativo, che può andare dallo sperimentare sentimenti negativi gestibili di vuoto, tristezza, ansia, paura, frustrazione, noia a veri e propri disturbi diagnosticabili, come ad esempio il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).

Reazioni comuni alla quarantena sono:

➢ Umore deflesso, tristezza, afflizione, colpa
➢ Irritabilità, nervosismo
➢ Insonnia
➢ Rabbia
➢ Paura
➢ Confusione, torpore
➢ Punteggi elevati agli strumenti di valutazione del Disturbo da stress post-traumatico

Gli studi ci dicono anche che gli effetti psicologici secondari alla quarantena possono durare molto tempo dopo il termine dell’isolamento, anche tre anni dopo. Questo significa che è molto importante non trascurare la mente in questo momento emergenziale perchè il rischio è quello di un protrarsi e cristallizzarsi della sintomatologia post-traumatica. Si può andare da un lento ritorno alla normalità al verificarsi di veri e propri disturbi o episodi di malattia psichiatrica. Sono stati riportati in particolare:
➢ Protrarsi di comportamenti di evitamento per paura del contagio (riduzione dei contatti, della frequentazione di luoghi chiusi e/o affollati)
➢ Mantenimento di norme igieniche eccessive (lavarsi troppo spesso le mani)
➢ Abuso o dipendenza alcolica

E’ evidente che, sebbene non siano totalmente chiariti dalla ricerca i fattori che spiegano la differenza tra coloro che a seguito di eventi traumatici sviluppano patologie e chi non le sviluppa, alcune variabili sono ben documentate. Fattori di vulnerabilità possono essere:

➢ Una rete familiare scarsamente supportiva
➢ Un basso livello culturale
➢ Problemi finanziari
➢ Anamnesi psichiatrica positiva

Lavorare in ambito sanitario può essere, pur se non confermato in modo univoco, un elemento di rischio, comportando una maggiore frustrazione professionale fino al born-out e al PTSD e una maggiore preoccupazione di poter contagiare altre persone, oltre che la stigmatizzazione da parte della comunità.

Alcune condizioni oggettive della quarantena possono fare la differenza nel determinare o meno certe reazioni psicologiche negative:
➢ La durata del periodo di isolamento
➢ La preoccupazione di poter infettare altri (p.e. i familiari)
➢ La sensazione di non sentirsi inseriti in una rete sociale (anche attraverso i contatti telematici)
➢ La difficoltà nel procurarsi i beni di prima necessità
➢ La carenza di informazione e di indicazioni comportamentali chiare
➢ La sfiducia nelle istituzioni deputate a garantire la salute pubblica

Per ridurre l’impatto della quarantena alcune attenzioni possono fare la differenza (oltre a cercare di limitarne la durata al minimo necessario):
➢ Dare informazioni accurate, combattere i «fantasmi» catastrofici
➢ Stimolare la consapevolezza della necessità dei provvedimenti, migliore garanzia del loro rispetto, educando alla responsabilità verso gli altri.
➢ Garantire puntualmente i beni di prima necessità
➢ Mantenere viva la comunicazione, attraverso telefono e social network, tra persone e con le istituzioni sanitarie
➢ Evitare la stigmatizzazione degli operatori sanitari e sociali «in prima linea» che devono arretrare per il periodo di quarantena

Diventa molto importante il supporto psicologico, anche tramite telefono, in ottica preventiva sia per le fasce di popolazioni più vulnerabili, compresi gli operatori sanitari, maggiormente esposti al fenomeno di traumatizzazione vicaria, ovvero al trauma secondario all’esposizione alla sofferenza di coloro di cui si prendono cura. Inoltre sono possibili interventi più specifici (defusing e debriefing) che hanno l’obiettivo di lavorare con coloro esposti a eventi traumatici in modo diretto e che hanno l’obiettivo di contenere le reazioni acute da stress e di prevenire eventuali esiti psicopatologici nel lungo termine.

 

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Gli effetti psicologici del coronavirus

Se da circa un mese a questa parte tutti i media danno ripetutamente informazioni alla popolazione di natura medica, comportamentale, sul numero dei contagi, dei decessi e su quello dei guariti, poche sono le informazioni relative alle importanti ripercussioni emotive e psicologiche che ciò che stiamo vivendo in questi giorni può avere e su come fronteggiarle.

E’ inevitabile che una delle conseguenze importanti deriva dalla necessità, più che doverosa, di modificare drasticamente le proprie abitudini di vita, restando a casa, interrompendo per molti la propria attività lavorativa e soprattutto sociale. Tutto questo limita la propria libertà individuale e impone per qualcuno (chi vive da solo che rappresenta una grande parte della popolazione italiana) affrontare la solitudine, l’assenza di contatti intimi, affettivi che sono fondamentali per il nostro benessere psicologico. Per molti anziani, i soggetti più a rischio per le conseguenze del contagio, questo significa non vedere i propri nipoti, rinunciare ai loro rapporti quotidiani (vitali) con figli, amici, parenti. In un momento di stress elevato in cui la presenza dei propri affetti sarebbe una importante fonte di conforto e di rassicurazione per poterlo gestire al meglio, molti (a meno che non conviventi) sono costretti a rinunciarci.

Se gli anziani sono più vulnerabili da un punto di vista medico è anche vero che lo sono anche da un punto di vista psicologico perchè per loro si apre il capitolo solitudine con tutte le conseguenze che questo può portare. In molti casi non sono abituati ad utilizzare i social, che in questo periodo, aiutano molto a sentire la connessione con gli altri, conosciuti e non.  “State a casa”, che è l’imperativo di queste settimane, significa state soli, deprivati di contatti umani e affettivi, oltreché di tutte le attività di svago e fonte di benessere (sport, giochi, spettacoli, feste, cinema, teatri, circoli, club, associazioni e così via).

In altri casi la convivenza forzata può portare a galla in maniera “esplosiva” tensioni e conflitti familiari tenuti sotto controllo da una quotidianità scandita da impegni lavorativi, sport, relazioni che riescono a salvaguardare un equilibrio che, privato degli elementi di ancoraggio mantenuti sino a quel momento, può saltare portando con sè conseguenze molto gravi che possono sfociare in un aumento dei litigi fino alla violenza familiare a di i figli, in casa pure loro, diventano testimoni.

Cosa comporta tutto questo?

Se per alcuni questo periodo è costellato da sentimenti di ansia, solitudine, irritabilità, senso di costrizione, vuoto, tristezza, uniti alle preoccupazioni economiche e per la salute propria e dei propri cari, per altri, con meno risorse emotive e pratiche le conseguenze possono essere quelle di veri e propri disturbi depressivi, ansiosi che potrebbero durare a lungo e non risolversi spontaneamente.

Cosa possiamo fronteggiare questo periodo

Mi sento di dare qualche suggerimento per poter fronteggiare al meglio da un punto di vista psicologico questo periodo difficile che tutti stiamo vivendo e che non sarà breve. Innanzitutto scegliere bene le fonti di informazioni. Nei momenti di emergenza in cui la paura e l’irrazionale inevitabilmente rischiano di prendere il sopravvento, bisogna avere molta cura di sè e non mettersi in condizione di esporsi a informazioni non veritiere, allarmanti e non fondate su datti scientifici e oggettivi. I canali da seguire sono il  sito del Ministero della Salute: www.salute.gov.it e quello dell’Istituto Superiore di Sanità: www.epicentro.iss.it. E’ importante anche non sovraesporsi a queste informazioni, pertanto scegliere un momento massimo due della giornata da dedicare alle notizie sul coronavirus; farlo più spesso implica tenere il proprio sistema nervoso in uno stato di iper-allerta costante creando una condizione di stress cronico. Altra cosa importante non interrompere “per quanto possibile” la propria routine rispettando sempre le indicazioni di sicurezza vigenti: in questo momento di grande incertezza è importante ancorarsi a ciò che è certo e prevedibile. Quando è possibile continuare a lavorare da casa, cercare di riposarsi adeguatamente evitando di esporsi a notizie sul coronavirus la sera prima di andare a dormire e sostituirle con attività piacevoli (leggere, ascoltare musica, vedere un film, scrivere, cucinare per il giorno dopo, fare un bagno caldo, meditare, ecc). Questa può essere un’occasione per sviluppare la propria creatività e sperimentare nuove attività da fare a casa in un momento in cui abbiamo il tempo di farlo. Cercare di mangiare bene e in modo regolare, molta frutta, verdura e cereali che rafforzano il sistema immunitario. Ricordarsi di staccare la spina, usare la tecnologia in modo intelligente, fare video-chiamate, ricontattare persone che non si sentono da un pò, prediligere le telefonate e le videochiamate agli sms perchè ci fanno sentire più in contatto con gli altri, sebbene questa comunicazione non possa sostituire quella vìs a vìs. Parlate con una persona di fiducia, ma ricordate di parlare anche di altro, di tutto quello di cui avreste parlato se adesso non ci fosse il coronavirus. E’ molto importante preservare il proprio benessere psicologico in un momento in cui lo stesso è messo a dura prova.

In sintesi il momento storico che stiamo vivendo ha e avrà molte ripercussioni sulla nostra psiche e sulle dinamiche sociali oltre che economiche. Siamo in un momento di stress acuto, la paura è centrale nella vita di ognuno, per qualcuno è molto vicina, per altri meno, ma è dentro ciascuno di noi. Questo può portare a una sintomatologia da stress acuto provocata da un pericolo reale per la vita proprio e altrui, un pericolo sconosciuto, aggressivo, incontrollabile che è caratterizzata da: pensieri e/o immagini intrusive, ricorrenti, involontarie legate al coronavirus, sogni spiacevoli il cui contenuto e/o le emozioni sono collegate allo stesso, difficoltà ad addormentarsi o risvegli notturni, irritabilità, ipervigilanza, problemi di concentrazione, alterato senso di realtà del proprio ambiente o di se stessi (stato confusionale, rallentamento del tempo, ecc). Questa sintomatologia potrebbe risolversi nell’arco di un mese, il tempo necessario affinchè il cervello elabori i profondi e improvvisi cambiamenti e la perdita totale di controllo, ma in alcuni casi potrebbero perdurare.

Cosa fare?

Occorre monitorare il proprio umore, cogliendone i segnali di un significativo abbassamento: irritabilità, tristezza, sonno ridotto o disturbato, apatia, pensieri catastrofici, solo per fare alcuni esempi. Allo stesso modo è bene prestare attenzione allo stato di salute psicologica dei nostri cari, soprattutto delle persone più a rischio ed aiutarle a ridurre in ogni modo possibile la percezione di isolamento e alienazione.

Ove si ravvisino segnali di franchi disturbi depressivi o ansiosi è bene cercare di intervenire precocemente, cercando l’aiuto di uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale, molti dei quali disponibili anche a sedute online, almeno temporaneamente. Nei casi più importanti o dove la psicoterapia non sia possibile o sostenibile è bene allertare il medico di base, che valuterà se e come avviare la persona a una terapia farmacologica di supporto.

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