A chi non è mai capitato di rimanere ‘coinvolto’ in catene di pensieri negativi e ripetitivi senza riuscire a fermarsi?
La tendenza a rimuginare, infatti, rappresenta un’esperienza comune dell’essere umano e non è necessariamente associata a disturbi affettivi o a conseguenze negative sul benessere psicologico; ciò che tende a variare molto all’interno della popolazione generale è la frequenza e l’intensità con la quale le persone si dedicano a questa attività mentale. La distinzione tra rimuginio normale e patologico può essere fatta su base quantitativa e non qualitativa; pertanto coloro che hanno un’elevata tendenza a rimuginare si impegnerebbero con maggiore frequenza e durata in questa attività mentale, sperimentandone gli effetti negativi sullo stato affettivo e la performance, rispetto a coloro considerati ‘rimuginatori normali’. Il rimuginio rappresenta la caratteristica centrale del Disturbo d’Ansia Generalizzato, caratterizzato da ansia e apprensione eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative ad una quantità di eventi o di attività.
Il rimuginio è definito come un processo mentale o uno stile di pensiero ripetitivo, verbale, astratto che si riferisce a possibili eventi negativi futuri e a strategie per impedire che tali minacce avvengano. Le caratteristiche centrali sono quindi la natura prevalentemente verbale del rimuginio, ovvero non sono presenti immagini mentali dettagliate.
In chi tende a rimuginare molto, sono presenti credenze cosiddette ‘positive’ sui vantaggi e l’utilità del rimuginio stesso (‘preoccuparmi mi aiuterà ad evitare pericoli o catastrofi future’) e credenze negative (la preoccupazione è incontrollabile e può essere pericolosa per la salute fisica e/o mentale; ‘se continuo a preoccuparmi in questo modo impazzirò’) e queste credenze contribuirebbero al suo mantenimento.
Alla base della tendenza a rimuginare è presente l’intolleranza all’incertezza, ovvero la difficoltà ad accettare l’assenza di certezza e la natura ipotetica probabilistica e di molti eventi della nostra vita. Chi si preoccupa eccessivamente deve continuare a farlo fino a quando l’incertezza, rispetto ad una situazione che non è ancora avvenuta ma che potrebbe verificarsi, non si è risolta, ma data la natura ipotetica ed astratta del rimuginio, risulta impossibile azzerare il dubbio e quindi smettere di rimuginare.
Alcuni ricercatori hanno sviluppato l’ipotesi che il rimuginio dipenda da differenze individuali rispetto all’intolleranza dell’incertezza, per cui coloro che sono particolarmente intolleranti nei confronti dell’incertezza, tendono a preoccuparsi maggiormente nel tentativo di risolverla.
E’ possibile intervenire da un punto di vista psicologico su questo meccanismo ricorsivo del pensiero con le più recenti tecniche di terapia cognitivo-comportamentale di terza generazione (mindfulness, detached-mindfulness, defusione cognitiva) e intervenendo sulle credenze che mantengono il rimuginio che, sebbene venga vissuto come automatico e fuori controllo dalla persona, può essere interrotto con notevoli benefici sulla quota ansiosa e sul senso di autocontrollo personale.
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